Da Platone a Baudrillard: zeppo di riferimenti filosofici il nuovo episodio della trilogia cinematografica dei Wachowski
[...] Perché Matrix è innanzitutto filosofia.
Il film, infatti, non solo si è conquistato l’interesse dei filosofi di tutto il mondo, animando
un intenso dibattito, ma è intriso
di riferimenti filosofici.
Da Cartesio alla Bibbia, dallo Zen a Platone, a Orwell: numerosi sono i riferimenti filosofici
contenuti in Matrix, tanto che i fratelli Wachowski hanno avvertito gli spettatori che non riusciranno
mai a individuarli tutti. Una scommessa che non ha tardato ad essere raccolta da più parti: non solo
sul sito ufficiale di Matrix è stata aperta una sezione dedicata alla filosofia con contributi di
docenti universitari e pensatori, ma di questo tema si occupano anche due saggi da poco pubblicati -
«The Matrix and philosophy: welcome to the desert of real» (William Irwin Editor, 2002) e «Taking the red pill:
science, philosophy and religion in The Matrix» (Glenn Yeffeth Editor, 2003,) - mentre l’autorevole
rivista inglese Philosophical Quarterly (2003, Vol. 53, No. 211) contiene un articolo dal titolo
«State vivendo in una simulazione computerizzata?», nel quale Nick Bostrom, docente a Yale, prende
in esame alcuni risvolti dello scenario post-umano rappresentato in Matrix.
I film della trilogia si ispirano alla teoria postmoderna del filosofo francese Jean Baudrillard,
citato esplicitamente nel soggetto originale. In una delle sequenze iniziali del primo film il
protagonista Neo (Keanu Reeves) usa proprio un libro di Baudrillard - una copia di «Simulacra
and simulation» (1983) - per nascondere uno dei software piratati di cui fa illegalmente commercio.
E quasi per invitare gli spettatori a leggere o a rileggersi quest’opera, i registi hanno
alterato alcuni particolari del testo: quando Neo apre il libro a metà, compare la prima pagina
del capitolo finale, intitolato «Sul nichilismo».
In «Simulacra and simulation» Baudrillard osserva come la proliferazione delle immagini che
caratterizza la società capitalistica e tecnologica abbia indotto un movimento che va dalla
«rappresentazione» di qualcosa che esiste nella realtà a una «simulazione» che non ha referenti
reali e che assume il potere di modellare il reale. Agli interpreti di Matrix i registi hanno
imposto una condizione: la lettura del testo di Baudrillard. Il filosofo, però, non ha gradito
l’omaggio, considerando inappropriato il riferimento al suo pensiero: contattato dai Wachowski
per collaborare alla sceneggiatura dei due sequel, si è rifiutato di prendere parte all’impresa.
Tra i referenti filosofici di Matrix ci sono anche le due più celebri opere del logico e
matematico inglese Lewis Carroll, «Alice nel Paese delle Meraviglie» e «Attraverso lo specchio».
Nella scena in cui s’incontrano per la prima volta, lo hacker Morpheus offre a Neo la scelta
tra la pillola blu - «La storia finisce. Ti svegli nel tuo letto e credi qualunque cosa tu
voglia credere» - e la pillola rossa - «Rimani nel Paese delle Meraviglie e ti mostro quanto
è profonda la tana del bianconiglio». È da questa scelta che inizia il gioco di commistione
tra realtà e virtualità, il quale introduce una questione strettamente filosofica: cos’è reale?
cos’è illusorio? i sensi ingannano?
Ed ecco che il pensiero non può non andare al mito platonico della caverna, ai dilemmi scettici
di Cartesio, ai «cervelli nella vasca» di Daniel Dennett. Come gli uomini prigionieri nella
caverna platonica vedono solo le ombre della realtà, così l’uomo che vive nell’era della
tecnica è uno «schiavo digitale», cui è preclusa la visione dell’essenza delle cose; egli
percepisce solo le visioni fatte balenare da Matrix, riflessi di una realtà che conoscerà
solo quando avrà spezzato le catene del controllo esercitato dalle macchine.
Il dubbio sulla veridicità delle impressioni sensibili - e dunque sulla realtà dell’esistenza
stessa dell’essere senziente - tormentò anche il filosofo francese René Descartes. Il celebre
cogito ergo sum - "penso, dunque esisto" - è la soluzione cartesiana al dilemma scettico:
se tutto ciò che percepisco con i sensi può essere messo in dubbio, l’unica certezza è il
mio dubbio stesso, il mio pensiero. E un pensiero non può esistere se non esiste anche
colui che pensa.
L’argomento cartesiano ha anche una sua versione moderna, nota come l’ipotesi del «cervello nella vasca»
ed elaborata da Daniel Dennett. La versione filosofica più vicina a quella rappresentata
da Matrix, tuttavia, è quella offerta dall’americano Hilary Putnam, che nel libro «Ragione,
verità e storia» (1981) immagina che tutti gli esseri senzienti siano cervelli in una vasca
che vivono le esperienze fornite loro da un supercomputer. L’umanità, dunque, vivrebbe in
una sorta di allucinazione collettiva. Impossibile non notare la connessione con questa
teoria nella scena in cui Neo esce da Matrix e scopre di essere sempre vissuto in una vasca,
collegato ad alcune macchine per le quali egli era una fonte di energia.
L’elenco dei riferimenti filosofici e religiosi presenti in Matrix potrebbe proseguire all’infinito.
Si potrebbe notare, ad esempio, l’influenza delle teorie malthusiane sull’idea,
che nel film è professata dalle macchine, che l’umanità sia una sorta di virus della terra,
capace solo di fagocitare risorse e di rompere equilibri naturali; oppure si potrebbe rilevare
il valore simbolico dei nomi dei protagonisti: «Nabucodonosor», la nave di Morpheus, è il nome
del re mesopotamico che conquistò la Palestina; Zion, l’ultima città degli uomini, è sinonimo
di Gerusalemme nella tradizione giudaica.
Sopravvalutare la portata filosofica di Matrix, però, sarebbe un errore. Il film, infatti,
soffre di un difetto strutturale: pur presentandosi come sovversivo e contestatore di un
sistema, finisce per farsene la massima espressione. È vero però che la sua forza e la sua
credibilità - al di là degli effetti speciali che ne denunciano l’appartenenza al mondo
effimero dell’immagine e della simulazione che vorrebbe stigmatizzare - provengono dal suo
sostrato filosofico: Matrix non dice nulla di nuovo, ma ripropone tante idee, in una sorta
di grande déjà vu visivo. Proprio quel déjà vu che nel mondo immaginario di Matrix è il
sintomo di un'imperfezione nel programma informatico di simulazione della realtà nel quale
gli uomini sono immersi.
di Emiliano Ippoliti - fonte: Il Tempo - sito Web Italiano per la Filosofia