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Da Platone a Baudrillard: zeppo di riferimenti
filosofici il nuovo episodio della trilogia
cinematografica dei Wachowskidi Emiliano
Ippoliti
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BENVENUTI nel mondo reale, nel «deserto del reale»,
direbbe il filosofo francese Jean Baudrillard. Benvenuti
in Matrix. L’imminente uscita di «Matrix
Revolutions», terza saga di Matrix (nelle sale italiane
dal 5 novembre), ripropone l’interrogativo : «Cos’è
Matrix?» Effetti speciali, arti marziali, schermi di
computer attraversati da piogge di codice alfanumerico a
fosfori verdi? No, nulla di tutto questo può aiutarci a
trovare la risposta alla domanda che agita i sonni di
Neo, il protagonista della trilogia dei registi
americani Andy e Larry Wachowski. Perché Matrix è
innanzitutto filosofia. Il film, infatti, non solo
si è conquistato l’interesse dei filosofi di tutto il
mondo, animando un intenso dibattito, ma è intriso di
riferimenti filosofici. Da Cartesio alla Bibbia,
dallo Zen a Platone, a Orwell: numerosi sono i
riferimenti filosofici contenuti in Matrix, tanto che i
fratelli Wachowski hanno avvertito gli spettatori che
non riusciranno mai a individuarli tutti. Una scommessa
che non ha tardato ad essere raccolta da più parti: non
solo sul sito ufficiale di Matrix è stata aperta una
sezione dedicata alla filosofia con contributi di
docenti universitari e pensatori, ma di questo tema si
occupano anche due saggi da poco pubblicati - «The
Matrix and philosophy: welcome to the desert of real»
(William Irwin Editor, 2002) e «Taking the red pill:
science, philosophy and religion in The Matrix» (Glenn
Yeffeth Editor, 2003,) - mentre l’autorevole rivista
inglese Philosophical Quarterly (2003, Vol. 53, No. 211)
contiene un articolo dal titolo «State vivendo in una
simulazione computerizzata?», nel quale Nick Bostrom,
docente a Yale, prende in esame alcuni risvolti dello
scenario post-umano rappresentato in Matrix. I film
della trilogia si ispirano alla teoria postmoderna del
filosofo francese Jean Baudrillard, citato
esplicitamente nel soggetto originale. In una delle
sequenze iniziali del primo film il protagonista Neo
(Keanu Reeves) usa proprio un libro di Baudrillard - una
copia di «Simulacra and simulation» (1983) - per
nascondere uno dei software piratati di cui fa
illegalmente commercio. E quasi per invitare gli
spettatori a leggere o a rileggersi quest’opera, i
registi hanno alterato alcuni particolari del testo:
quando Neo apre il libro a metà, compare la prima pagina
del capitolo finale, intitolato «Sul nichilismo». In
«Simulacra and simulation» Baudrillard osserva come la
proliferazione delle immagini che caratterizza la
società capitalistica e tecnologica abbia indotto un
movimento che va dalla «rappresentazione» di qualcosa
che esiste nella realtà a una «simulazione» che non ha
referenti reali e che assume il potere di modellare il
reale. Agli interpreti di Matrix i registi hanno imposto
una condizione: la lettura del testo di Baudrillard. Il
filosofo, però, non ha gradito l’omaggio, considerando
inappropriato il riferimento al suo pensiero: contattato
dai Wachowski per collaborare alla sceneggiatura dei due
sequel, si è rifiutato di prendere parte all’impresa.
Tra i referenti filosofici di Matrix ci sono anche
le due più celebri opere del logico e matematico inglese
Lewis Carroll, «Alice nel Paese delle Meraviglie» e
«Attraverso lo specchio». Nella scena in cui
s’incontrano per la prima volta, lo hacker Morpheus
offre a Neo la scelta tra la pillola blu - «La storia
finisce. Ti svegli nel tuo letto e credi qualunque cosa
tu voglia credere» - e la pillola rossa - «Rimani nel
Paese delle Meraviglie e ti mostro quanto è profonda la
tana del bianconiglio». È da questa scelta che inizia il
gioco di commistione tra realtà e virtualità, il quale
introduce una questione strettamente filosofica: cos’è
reale? cos’è illusorio? i sensi ingannano? Ed ecco
che il pensiero non può non andare al mito platonico
della caverna, ai dilemmi scettici di Cartesio, ai
«cervelli nella vasca» di Daniel Dennett. Come gli
uomini prigionieri nella caverna platonica vedono solo
le ombre della realtà, così l’uomo che vive nell’era
della tecnica è uno «schiavo digitale», cui è preclusa
la visione dell’essenza delle cose; egli percepisce solo
le visioni fatte balenare da Matrix, riflessi di una
realtà che conoscerà solo quando avrà spezzato le catene
del controllo esercitato dalle macchine. Il dubbio
sulla veridicità delle impressioni sensibili - e dunque
sulla realtà dell’esistenza stessa dell’essere senziente
- tormentò anche il filosofo francese René Descartes. Il
celebre cogito ergo sum - "penso, dunque esisto" - è la
soluzione cartesiana al dilemma scettico: se tutto ciò
che percepisco con i sensi può essere messo in dubbio,
l’unica certezza è il mio dubbio stesso, il mio
pensiero. E un pensiero non può esistere se non esiste
anche colui che pensa. L’argomento cartesiano ha
anche una sua versione moderna, nota come l’ipotesi del
«cervello nella vasca» ed elaborata da Daniel Dennett.
La versione filosofica più vicina a quella rappresentata
da Matrix, tuttavia, è quella offerta dall’americano
Hilary Putnam, che nel libro «Ragione, verità e storia»
(1981) immagina che tutti gli esseri senzienti siano
cervelli in una vasca che vivono le esperienze fornite
loro da un supercomputer. L’umanità, dunque, vivrebbe in
una sorta di allucinazione collettiva. Impossibile non
notare la connessione con questa teoria nella scena in
cui Neo esce da Matrix e scopre di essere sempre vissuto
in una vasca, collegato ad alcune macchine per le quali
egli era una fonte di energia. L’elenco dei
riferimenti filosofici e religiosi presenti in Matrix
potrebbe proseguire all’infinito. Si potrebbe notare, ad
esempio, l’influenza delle teorie malthusiane sull’idea,
che nel film è professata dalle macchine, che l’umanità
sia una sorta di virus della terra, capace solo di
fagocitare risorse e di rompere equilibri naturali;
oppure si potrebbe rilevare il valore simbolico dei nomi
dei protagonisti: «Nabucodonosor», la nave di Morpheus,
è il nome del re mesopotamico che conquistò la
Palestina; Zion, l’ultima città degli uomini, è sinonimo
di Gerusalemme nella tradizione giudaica.
Sopravvalutare la portata filosofica di Matrix,
però, sarebbe un errore. Il film, infatti, soffre di un
difetto strutturale: pur presentandosi come sovversivo e
contestatore di un sistema, finisce per farsene la
massima espressione. È vero però che la sua forza e la
sua credibilità - al di là degli effetti speciali che ne
denunciano l’appartenenza al mondo effimero
dell’immagine e della simulazione che vorrebbe
stigmatizzare - provengono dal suo sostrato filosofico:
Matrix non dice nulla di nuovo, ma ripropone tante idee,
in una sorta di grande déjà vu visivo. Proprio quel déjà
vu che nel mondo immaginario di Matrix è il sintomo di
un'imperfezione nel programma informatico di simulazione
della realtà nel quale gli uomini sono immersi.
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