PONTIFICIO CONSIGLIO « COR UNUM »
LA FAME NEL MONDO UNA SFIDA PER TUTTI: LO
SVILUPPO SOLIDALE
PRESENTAZIONE
Sono lieto di presentare il documento « La fame nel mondo. Una sfida
per tutti: lo sviluppo solidale ». E stato preparato con tanta cura dal
Pontificio Consiglio « Cor Unum » su indicazione del Santo Padre Giovanni
Paolo II. Anche quest'anno il Successore di Pietro nel suo Messaggio
quaresimale si è fatto voce di coloro ai quali manca il minimo vitale: «
La folla di affamati, costituita da bambini, donne, vecchi, migranti,
profughi e disoccupati, leva verso di noi il suo grido di dolore. Essi ci
implorano, sperando di essere ascoltati ».
Il documento si colloca nel solco indicato da Cristo ai suoi discepoli.
La persona e il messaggio di Gesù si incentrano infatti sulla
manifestazione che « Dio è amore » (1 Gv 4, 8), un amore che redime
l'uomo e lo trae dalla sua situazione di molteplice miseria, per
restituirlo alla piena dignità. La Chiesa nel corso dei secoli ha dato
innumerevoli espressioni concrete a questa sollecitudine di Dio. La sua
storia potrebbe essere scritta anche come una storia della carità verso i
più poveri, attuata da cristiani che hanno testimoniato ai loro fratelli
bisognosi l'amore di Cristo che dona la vita per il prossimo.
Lo studio qui pubblicato intende contribuire all'impegno dei cristiani
di condividere le urgenze dell'uomo di oggi. I temi trattati sono infatti
di grande attualità. Questo riguarda sia la descrizione della realtà della
fame nel mondo, sia l'implicanza etica della questione, che investe tutti
gli uomini di buona volontà. La pubblicazione è di particolare importanza
in vista del Grande Giubileo del 2000 che la Chiesa si prepara a
celebrare. Lo spirito di tale documento non nasce da alcuna ideologia, ma
si fa guidare dalla logica evangelica e invita alla sequela di Gesù Cristo
vissuta nella quotidianità.
Non posso far altro che auspicare una vasta diffusione di questa
pubblicazione, sperando che essa contribuisca a formare le coscienze
all'esercizio della giustizia distributiva e della solidarietà umana.
Città del Vaticano, 4 ottobre 1996, Festa di San Francesco
d'Assisi
+ Angelo Card. Sodano Segretario di
Stato
LA FAME NEL MONDO UNA SFIDA PER TUTTI: LO SVILUPPO
SOLIDALE
« L'ampiezza del fenomeno chiama in causa le strutture ed i meccanismi
finanziari, monetari, produttivi e commerciali, che, poggiando su diverse
pressioni politiche, reggono l'economia mondiale: essi si rivelano quasi
incapaci sia di riassorbire le ingiuste situazioni sociali, ereditate dal
passato, sia di far fronte alle urgenti sfide ed alle esigenze etiche del
presente. Sottoponendo l'uomo alle tensioni da lui stesso create,
dilapidando ad un ritmo accelerato le risorse materiali ed energetiche,
compromettendo l'ambiente geofisico, queste strutture fanno estendere
incessantemente le zone di miseria e, con questa, l'angoscia, la
frustrazione e l'amarezza ». « Su questa difficile strada — sulla strada
dell'indispensabile trasformazione delle strutture della vita economica —
non sarà facile avanzare se non interverrà una vera conversione della
mente, della volontà e del cuore. Il compito richiede l'impegno risoluto
di uomini e di popoli liberi e solidali » (Giovanni Paolo II, Lettera
Enciclica Redemptor hominis, 1979, n. 16).
INTRODUZIONE
Il diritto all'alimentazione è uno dei principi proclamati nel 1948
dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.2
La Dichiarazione sul progresso e lo sviluppo nel settore sociale
del 1969, sosteneva la necessità di « eliminare la fame e la
malnutrizione e di garantire il diritto ad una adeguata alimentazione ».3
Parimenti, la Dichiarazione universale per l'eliminazione definitiva
della fame e della malnutrizione, adottata nel 1974, dichiara che ogni
individuo « ha il diritto inalienabile di essere liberato dalla fame e
dalla malnutrizione per potersi sviluppare appieno e conservare le sue
facoltà fisiche e mentali ».4 Nel 1992, la Dichiarazione mondiale sulla
nutrizione ha riconosciuto anche che « l'accesso ad alimenti
nutrizionalmente adeguati e privi di pericoli è un diritto universale
».5
Si tratta di indicatori molto espliciti. La coscienza pubblica si è
espressa senza equivoci. Pur tuttavia milioni di individui sono ancora
segnati dai danni provocati dalla fame e dalla denutrizione o dalle
conseguenze dell'insicurezza alimentare. La causa è forse da ricercarsi
nella mancanza di cibo? Proprio per nulla: in linea di massima si conviene
sul fatto che le risorse della terra, considerate globalmente, sono in
grado di nutrire tutti i suoi abitanti;6 infatti, il cibo disponibile pro
capite a livello mondiale è aumentato del 18% circa nel corso degli ultimi
anni.7
L'umanità si trova oggi di fronte ad una sfida indubbiamente di ordine
economico e tecnico, ma ancor di più di ordine etico-spirituale e
politico. E una questione di solidarietà vissuta e di sviluppo autentico,
al pari di una questione di progresso materiale.
1. La Chiesa ritiene che non si possano affrontare i settori economico,
sociale e politico prescindendo dalla dimensione trascendente dell'uomo.
La filosofia greca, che tanto ha impregnato di sé il mondo occidentale,
era già di questo avviso: l'uomo è in grado di scoprire e di perseguire la
verità, il bene e la giustizia con i suoi propri mezzi, soltanto se la sua
coscienza è illuminata dal divino. Infatti, è precisamente il divino che
consente alla natura umana di prendere in considerazione i doveri
disinteressati nei confronti dell'altro. Parimenti, secondo il pensiero
cristiano, è la grazia divina che infonde nell'essere umano la forza
necessaria per agire secondo il suo discernimento.8 Tuttavia la Chiesa fa
appello a tutti gli uomini di buona volontà per portare a termine questo
compito titanico. Il Concilio Vaticano II affermava: « Di fronte ad un tal
numero di affamati in tutto il mondo, il Concilio insiste presso tutti e
presso le autorità, affinché si ricordino di queste parole dei Padri della
Chiesa: "Nutri colui che è moribondo per fame, perché se non lo avrai
nutrito, lo avrai ucciso" ».9 Tale solenne avvertimento sollecita ad
impegnarsi con risolutezza nella lotta contro la fame.
2. L'urgenza di questo problema spinge il Pontificio Consiglio « Cor
Unum » a presentare qui di seguito alcuni elementi della sua ricerca; esso
sente come suo dovere fare appello alla responsabilità individuale e
collettiva affinché vengano adottate soluzioni più efficaci e si schiera
dalla parte di coloro che già si applicano con molta dedizione a questo
nobile scopo.
Il presente documento cerca di analizzare e di descrivere le cause e le
conseguenze del fenomeno della fame nel mondo in maniera globale e non
esaustiva. La riflessione è illuminata soprattutto dal Vangelo e
dall'insegnamento sociale della Chiesa e non persegue un obiettivo di
portata congiunturale; perciò l'attenzione non si focalizza sulle
statistiche riguardanti la situazione attuale, né sugli individui a
rischio di morire di fame, sulle percentuali dei denutriti, o ancora sulle
regioni più minacciate e le misure economiche da prevedere. Ispirato dalla
missione pastorale della Chiesa, questo documento vuole essere un appello
pressante ai suoi membri e all'intera umanità, in quanto la Chiesa « "è
esperta in umanità": ciò la spinge ad estendere necessariamente la sua
missione religiosa ai diversi campi, in cui uomini e donne dispiegano la
loro attività in cerca della felicità, pur sempre relativa, che è
possibile in questo mondo ».10 Oggigiorno la Chiesa si fa eco di questo
appello provocatorio che Dio rivolge a Caino, quando gli chiede conto
della vita di suo fratello Abele: « Che hai fatto! La voce del sangue di
tuo fratello grida a me dal suolo!... » (Gen 4, 10). Questo
versetto duro, quasi insopportabile, riferito alla situazione dei nostri
contemporanei che muoiono di fame, non è una esagerazione ingiusta o
aggressiva; queste parole indicano una priorità e vogliono giungere alle
nostre coscienze.
E un'illusione attendersi soluzioni preconfezionate: ci troviamo in
presenza di un fenomeno legato alle scelte economiche dei dirigenti, dei
responsabili, ma anche dei produttori e dei consumatori e che si radica
profondamente nel nostro stile di vita. Tuttavia, questo appello impegna
ciascuno, nella rinnovata speranza di giungere ad un miglioramento
decisivo, tramite rapporti umani vieppiù solidali.
3. Questo documento si rivolge ai cattolici di tutto il mondo, ai
responsabili nazionali ed internazionali con competenza e responsabilità
in questo settore, ma vuole anche giungere a tutte le organizzazioni
umanitarie, come pure a tutti gli uomini di buona volontà. Auspica di
riuscire ad incoraggiare singolarmente le migliaia di persone di qualsiasi
condizione e professione, che s'impegnano quotidianamente affinché tutti i
popoli ottengano « lo stesso diritto ad assidersi alla mensa del banchetto
comune ».11
I LE REALTÀ DELLA FAME
La sfida della fame
4. Il pianeta è in grado di offrire a ciascuno la relativa razione
alimentare.12
Per raccogliere la sfida della fame, è necessario in primo luogo
considerarne i numerosi aspetti e le effettive cause. Non tutte le realtà
della fame e della denutrizione sono note con precisione, anche se diverse
ne sono le cause importanti che sono state identificate. Intendiamo
delineare in primo luogo i motivi della nostra impostazione per
soffermarci in seguito sulle cause principali di questo flagello.
Uno scandalo durato troppo a lungo: la fame distrugge la
vita
5. Non bisogna confondere la fame con la malnutrizione. La fame
minaccia non solo la vita degli individui, ma anche la loro dignità. Una
grave e prolungata carenza di cibo provoca la prostrazione dell'organismo,
l'apatia, la perdita del senso sociale, l'indifferenza e a volte suscita
la crudeltà nei confronti dei più deboli, specie fanciulli ed anziani.
Interi gruppi vengono allora condannati a morire nel deperimento.
Purtroppo, nel corso della storia questa tragedia si ripete, ma la
coscienza moderna avverte più di prima quale scandalo costituisca la
fame.
Fino al XIX secolo, le carestie che decimavano popolazioni intere erano
dovute il più delle volte a cause naturali. Oggigiorno, le carestie sono
più circoscritte e provocate quasi sempre dall'azione dell'uomo. E
sufficiente far riferimento ad alcune regioni o ad alcuni paesi per
convincersene: Etiopia, Cambogia, ex-Jugoslavia, Rwanda, Haiti. In
un'epoca in cui l'uomo, meglio che in passato, ha la possibilità di far
fronte alle carestie, tali situazioni costituiscono un vero disonore per
l'umanità.
La malnutrizione compromette il presente ed il futuro di un
popolo
6. I grandi sforzi dispiegati hanno dato i loro frutti, tuttavia
bisogna ammettere che la malnutrizione è più diffusa della fame ed assume
forme molto diverse. Si può essere malnutriti senza avere fame. Ciò non
toglie che l'organismo perda ugualmente le sue potenzialità fisiche,
intellettuali e sociali.13 La malnutrizione può essere qualitativa, a
seguito di regimi alimentari mal equilibrati (per eccesso o per difetto).
Spesso è contemporaneamente anche quantitativa e si acuisce in periodi di
scarsezza di viveri. Nel qual caso viene indicata come denutrizione o
sotto alimentazione.14 La denutrizione aumenta la diffusione e le
conseguenze di alcune malattie infettive ed endemiche e accresce il tasso
di mortalità, specie nei bambini al di sotto dei cinque anni.
Le principali vittime: le popolazioni più vulnerabili
7. I poveri sono le prime vittime della malnutrizione e della fame nel
mondo. Essere poveri significa quasi sempre: essere più facilmente vittime
dei tanti pericoli che minacciano la sopravvivenza ed essere più
facilmente soggetti alle malattie fisiche. Dagli anni 80 questo fenomeno è
in crescita e minaccia un numero sempre maggiore di persone nella
stragrande maggioranza dei paesi. Nell'ambito di una popolazione povera,
le prime vittime sono sempre gli individui più fragili: bambini, donne
incinte o che allattano, malati ed anziani. Da segnalare anche altri
gruppi umani ad elevatissimo rischio di deficienza nutrizionale: i
rifugiati o i profughi, le vittime di avvenimenti politici.
Ma l'apice dell'indigenza alimentare lo si riscontra nei quarantadue
paesi meno sviluppati (PMS) di cui ventotto nella sola Africa:15 « Circa
780 milioni di abitanti dei paesi in via di sviluppo — pari al 20% della
loro popolazione — continuano a non avere i mezzi sufficienti per
procurarsi ogni giorno la razione alimentare indispensabile al loro
benessere nutrizionale ».16
La fame genera la fame
8. Non è raro che nei paesi in via di sviluppo le popolazioni che
traggono la loro sussistenza da una agricoltura a bassissimo rendimento,
soffrano la fame nell'intervallo fra due raccolti. Nel caso in cui i
raccolti precedenti siano già stati scarsi, potrà verificarsi una carestia
con conseguente fase acuta di malnutrizione, che indebolirà gli organismi
proprio nel momento in cui sarebbero necessarie tutte le forze per
prepararsi al raccolto successivo. La penuria di viveri compromette il
futuro: ci si nutre delle semenze, si saccheggiano le risorse naturali
accelerando in tal modo l'erosione, il degrado o la desertificazione dei
terreni.
Un terzo genere di situazioni, oltre quello della fame (o carestia),
distinto dalla denutrizione, è dato dall'insicurezza alimentare che genera
di conseguenza fame o malnutrizione. In effetti, ostacola la
pianificazione e la realizzazione di lavori a lungo termine necessari a
promuovere e raggiungere uno sviluppo durevole.17
Cause individuabili
9. I fattori climatici e le calamità di ogni genere, pur se rilevanti,
sono lungi tuttavia dal costituire le uniche cause della fame e della
malnutrizione: per ben inquadrare il problema della fame è necessario
prendere in considerazione l'insieme delle sue cause, congiunturali o
stabili, come pure le loro reciproche implicazioni. Ne presentiamo le
principali, raggruppandole in base alle classiche categorie economiche,
socio-culturali e politiche.
A) CAUSE ECONOMICHE
Le cause profonde
10. La fame deriva in primo luogo dalla povertà. La sicurezza
alimentare degli individui dipende essenzialmente dal loro potere
d'acquisto, e non tanto dalla disponibilità fisica di cibo.18 La fame
esiste in tutti i paesi, è ricomparsa in quelli europei, dell'Ovest come
dell'Est; è molto diffusa nei paesi poco sviluppati o con difficoltà di
sviluppo.19
Eppure, la storia del XX secolo indica che la povertà economica non è
una fatalità. Numerosi paesi sono decollati economicamente e continuano a
farlo sotto i nostri occhi, altri, al contrario affondano, vittime di
politiche nazionali o internazionali basate su ingannevoli premesse.
La fame è la concomitante risultanza di:
a) politiche economiche non ottimali in tutti i paesi: le
cattive politiche dei paesi industrializzati si ripercuotono
indirettamente, ma drasticamente, su tutti i poveri – in tutti i
paesi;
b) strutture ed abitudini poco efficaci, se non con effetti
apertamente devastanti sulla ricchezza dei paesi: – a livello
nazionale, in paesi con difficoltà di sviluppo, i grandi organismi,
pubblici o privati, in situazione di monopolio (il che a volte è
inevitabile) si sono tramutati da forza motrice in effetto frenante dello
sviluppo; le ristrutturazioni avviate in numerosi paesi in questi ultimi
dieci anni ne hanno dato dimostrazione; – a livello nazionale nei paesi
industrializzati, le rispettive deficienze risultano meno evidenti a
livello internazionale ma, direttamente o indirettamente, sono parimenti
perniciose per gli individui svantaggiati di tutto il mondo; – a
livello internazionale, le restrizioni commerciali e le incentivazioni
economiche sono a volte scoordinate;
c) comportamenti moralmente disdicevoli: ricerca del denaro,
potere e immagine pubblica perseguiti come unico fine, indebolimento del
senso di servizio alla comunità ad esclusivo beneficio di individui o di
caste, senza dimenticare la considerevole corruzione sotto le più diverse
forme e di cui nessun paese può fregiarsi di esserne immune.
Tutto ciò evidenzia la contingenza di qualsiasi azione umana. Di fatto,
spesso e nonostante le buone intenzioni, si sono commessi errori che hanno
condotto a situazioni di precarietà. Rilevarle serve ad avviarsi verso la
loro soluzione.
In effetti, lo sviluppo economico va coltivato: le istituzioni, al pari
degli individui, debbono condividerne la responsabilità; il ruolo più
efficace dello Stato è quello che emerge dalla dottrina sociale della
Chiesa e dalle analisi delle sue encicliche sociali.
La causa profonda di uno sviluppo mancato o difficile risiede nel venir
meno della volontà e della capacità di servire gratuitamente l'uomo,
mediante l'uomo e a favore dell'uomo, atteggiamento che è frutto
dell'amore. Tale mancanza impregna di sé questa realtà complessa, a tutti
i livelli: tecnico in senso lato, strutturale, legislativo e morale; essa
si manifesta nella concezione e nella realizzazione di atti le cui
implicanze a livello economico possono essere grandi o piccole.
Le incompetenze, le strutture ormai incapaci di offrire servizi al
miglior costo, le deviazioni morali di ciascuno e la mancanza d'amore sono
le cause della fame. Qualunque mancanza in uno di questi aspetti, ovunque
nel mondo, senza eccezione alcuna, ha come risultato quello di diminuire
ulteriormente la razione appena sufficiente dell'affamato.
Le recenti evoluzioni economiche e finanziarie del mondo bene
illustrano questi fenomeni complessi: l'aspetto tecnico e morale vi
interferiscono in maniera del tutto particolare, condizionando i risultati
delle economie. Si intende qui far riferimento specifico alla crisi del
debito nella maggioranza dei paesi con difficoltà di sviluppo, come pure
alle misure di risanamento che sono state o saranno adottate.
Il debito dei paesi con difficoltà di sviluppo
11. L'impennata unilaterale dei prezzi del greggio nel 1973 e nel 1979
ha colpito profondamente tutti i paesi non produttori, immettendo sul
mercato notevoli liquidità finanziarie che il sistema bancario ha cercato
di riciclare: fenomeno che ha causato un generale rallentamento
dell'economia di cui sono rimasti particolarmente vittime i paesi poveri.
Per svariate ragioni, durante gli anni '70 e '80, la maggioranza dei paesi
ha potuto accendere prestiti consistenti a tasso variabile ed i paesi
dell'America Latina e dell'Africa hanno potuto sviluppare in modo
eccezionale il loro settore pubblico. Questo periodo di denaro facile è
stato motivo di molteplici eccessi: progetti inutili, mal concepiti o mal
realizzati, distruzione brutale delle economie tradizionali, aumento della
corruzione in tutti i paesi. Alcune nazioni asiatiche hanno evitato questi
errori, il che ha consentito loro uno sviluppo molto rapido.
L'impennata dei tassi di interesse — provocata dal semplice gioco di
mercato non controllato e probabilmente non controllabile — ha spinto la
maggioranza dei paesi dell'America Latina e dell'Africa a dover sospendere
i pagamenti dei debiti, provocando di conseguenza fenomeni di fuga di
valuta che, a brevissimo termine, si sono tramutati in una minaccia sia
per il tessuto sociale locale — pur mediocre e fragile che fosse — sia per
l'esistenza stessa del sistema bancario. E stato allora possibile
quantificare la portata dei danni a tutti i livelli: economico,
strutturale e morale. Come sempre, si sono cercate in prima istanza
soluzioni di natura meramente tecnica ed organizzativa, le quali, pur se
positive quando necessarie, debbono tuttavia accompagnarsi ad un vero
mutamento dei comportamenti di ognuno, e specie di coloro che — in tutti i
paesi ed a tutti i livelli — sfuggono all'enorme fardello che la povertà
fa pesare sulle scelte di vita.
Con l'inizio del periodo di risanamento, i trasferimenti hanno fatto
registrare un andamento negativo: blocco dei prestiti; prezzo del greggio
mantenuto artificialmente ad un livello intollerabile per i paesi in via
di sviluppo; riduzione del prezzo delle materie prime a seguito del
rallentamento economico dovuto al prezzo elevato del petrolio e
contemporaneamente alla crisi del debito; reazione troppo lenta degli
organismi internazionali nel reimmettere liquidità, ad eccezione del Fondo
Monetario Internazionale; etc. Durante questo periodo, il livello di vita
dei paesi sovraindebitati iniziava a crollare.
Da quanto ricordato, si può ben valutare quanta saggezza, e non solo
conoscenze tecniche ed economiche, la gestione del pubblico denaro
richieda. L'immissione di notevoli mezzi finanziari provoca danni
strutturali e personali considerevoli, invece di essere causa di un
miglioramento effettivo delle condizioni dei più svantaggiati.
Ecco la conclusione che dobbiamo trarne: lo sviluppo degli uomini passa
attraverso la loro capacità di altruismo, ovvero d'amore, il che è di
estrema importanza a livello pratico. Per dirla in breve ed in termini
realistici, l'amore non è un lusso. E una condizione di sopravvivenza per
un gran numero di esseri umani.
I programmi di aggiustamento strutturale
12. La violenza dei fenomeni monetari ha indotto molti paesi ad
adottare necessariamente delle misure molto energiche, nell'intento di
contenere la crisi e ristabilire i grandi equilibri. Queste, per loro
stessa natura, provocano a loro volta forti contrazioni del potere
d'acquisto medio nella nazione.
Le difficoltà e le sofferenze provocate da queste crisi economiche sono
considerevoli, anche se la loro soluzione consente in fin dei conti di
ristabilire un maggiore benessere.
La crisi mette in luce i punti deboli, costitutivi o acquisiti, di un
paese, ivi compresi quelli originati dagli errori commessi nel processo di
sviluppo dai governi che si sono succeduti, dai loro partner o anche dalla
comunità internazionale. Tali fragilità sono molteplici e alcune di esse,
a volte, si evidenziano solo a posteriori, altre risalgono al processo
della politica di indipendenza, in quanto ciò che costituiva la forza
della potenza coloniale si è tramutato in fragilità del paese divenuto
indipendente, senza che per contro potesse esservi spazio per fenomeni di
compensazione. Da notare, in linea di massima, l'onere dei grandi progetti
che coincidono con momenti di verità durante i quali il bisogno di
solidarietà è sentito in maniera particolarmente forte in tutto il paese.
Ma, in verità, il primo effetto di queste politiche di aggiustamento è
quello di ridurre la spesa globale e, conseguentemente, i redditi. Agli
indigenti del paese resta un'unica alternativa: o confidare nei dirigenti
successivi, o tentare di sbarazzarsi di quelli in carica. Essi stessi sono
spesso preda di gruppi ambiziosi in cerca di potere per ragioni
ideologiche o per mera cupidigia, al di fuori di un qualsiasi processo
democratico e, se necessario, appoggiandosi su forze esterne.
Una riforma economica richiede da parte della classe dirigente una
grande attitudine alla decisione politica. Ecco un criterio che permette
di valutare la qualità del suo intervento: non solo il successo tecnico
del piano di stabilizzazione, ma anche la capacità di mantenere il
consenso della maggioranza della popolazione, compresi i più svantaggiati.
La classe dirigente deve saper convincere le altre fasce sociali a farsi
carico effettivamente di una parte degli oneri. Si tratta in particolare
di quella cerchia ristretta di persone con un reddito di livello
internazionale, ma anche di funzionari ed impiegati dello Stato che fino a
quel momento godevano nel paese di una situazione alquanto invidiabile e
che rischiano di ritrovarsi dall'oggi all'indomani con mezzi pesantemente
decurtati o addirittura totalmente azzerati. Questo è il momento in cui
rientra in gioco la solidarietà tradizionale, in quanto i poveri sono
sempre disposti a sostenere quel membro della famiglia che ricade nella
situazione di precarietà dalla quale lo si credeva uscito.
Solo progressivamente i responsabili nazionali ed internazionali si
sono preoccupati di proteggere i più poveri nel corso di queste operazioni
di risanamento economico. Ci sono voluti molti anni prima che il concetto
di operazioni concomitanti, indirizzate alle popolazioni più esposte,
acquistasse un certo spessore. D'altronde, in queste circostanze, come
pure in situazioni di emergenza, si rischia sempre di tirare il freno
troppo tardi e troppo bruscamente, con contraccolpi che possono aumentare
considerevolmente le sofferenze di coloro che si trovano all'ultimo anello
della catena.
In Africa e in America Latina20 sono stati avviati dei progetti ad
ampio raggio che prevedevano: – programmi di aggiustamento strutturale
con l'adozione di severe misure macro-economiche, – l'apertura di nuove
importanti linee di credito, – una profonda riforma strutturale delle
inefficienze locali. Queste sono in parte conseguenza dei monopoli
statali, che consumano una importante porzione del reddito nazionale senza
rendere un servizio di qualità sufficiente a beneficio di tutti. In molti
di questi paesi, tutti i servizi pubblici ne hanno risentito e, al pari
della zizzania che si mescola spesso al grano, alcuni settori competitivi
ne sono risultati penalizzati.21
Alcuni governi, spesso poco riconosciuti sulla scena internazionale,
sono stati ammirevoli: hanno avuto il coraggio politico di applicare le
misure inevitabili pur tenendo contemporaneamente in debito conto i pareri
e le pressioni esterne; si sono sforzati, offrendone l'esempio, di far
aumentare nei loro paesi il livello di cooperazione e di solidarietà e di
evitarne i contraccolpi. Ciò porta a constatare che l'influenza
dell'esempio del responsabile al vertice include non soltanto la sua
competenza e le sue qualità di comando ma anche la sua capacità di saper
limitare l'ingiustizia sociale, sempre presente in queste situazioni.
I paesi industrializzati debbono seriamente porsi il seguente problema:
il loro atteggiamento e anche la loro preferenza nei confronti di paesi
con difficoltà di sviluppo si fonda sulle qualità dei responsabili
politici in ambito sociale, tecnico e politico, o il loro appoggio si basa
su altri criteri?
B) LE CAUSE SOCIO-CULTURALI
Le realtà sociali
13. Si è constatato che alcuni fattori socio-culturali accrescono i
rischi di carestia e di malnutrizione cronica. I tabù alimentari, lo
status sociale e familiare della donna, la sua effettiva influenza in seno
alla famiglia, la mancanza di formazione delle madri alle tecniche
dell'alimentazione, l'analfabetismo generalizzato, la precarietà del posto
di lavoro o la disoccupazione, sono altrettanti fattori che possono
sommarsi e portare alla malnutrizione come pure alla miseria. Ricordiamo
che gli stessi paesi industrializzati non sono al riparo da questo
flagello: questi stessi fattori portano alla malnutrizione occasionale o
cronica di numerosi « nuovi poveri » che vivono gomito a gomito con coloro
che nuotano nell'abbondanza e nell'eccessivo consumismo.
La demografia
14. Diecimila anni or sono, la terra contava probabilmente cinque
milioni di abitanti. Nel XVII secolo, all'alba dei tempi moderni,
cinquecento milioni. In seguito, il ritmo della crescita demografica è
andato aumentando: un miliardo di abitanti all'inizio del XIX secolo, 1,65
all'inizio del XX, 3 miliardi nel 1960, 4 miliardi nel 1975, 5,2 nel 1990,
5,5 nel 1993, 5,6 nel 1994.22 Nel mentre, la situazione demografica è
andata sviluppandosi a ritmi diversi nei paesi « ricchi » e nei paesi « in
via di sviluppo ».23 Tale situazione è in corso di evoluzione: la
proliferazione, va ricordato, è una reazione della natura — e di
conseguenza, dell'uomo — alle minacce contro la sopravvivenza della
specie.
Alcune ricerche evidenziano che, nella misura in cui diventano più
ricche, le popolazioni passano da una situazione di alta natalità ed alta
mortalità a quella opposta: ridotta natalità e ridotta mortalità.24 Il
periodo di transizione può risultare critico per quanto attiene alle
risorse alimentari; la mortalità infatti diminuisce prima della natalità.
L'aumento della popolazione deve essere accompagnato da cambiamenti
tecnologici, se non si vuole interrompere il ciclo regolare della
produzione agricola, non fosse altro che per l'impoverimento dei terreni,
la riduzione di quelli a riposo e l'assenza di rotazione agricola.
Le sue implicazioni
15. La crescita demografica rapida è causa o conseguenza del
sottosviluppo? Eccezion fatta per alcuni casi estremi, la densità
demografica non spiega la fame. In merito si osserva che, da una parte, è
proprio nei delta dei fiumi e nelle vallate sovrappopolate dell'Asia che
sono state realizzate le innovazioni agricole della « rivoluzione verde »;
dall'altra, paesi poco popolati, quali lo Zaire o la Zambia, pur se in
grado di nutrire una popolazione venti volte più numerosa senza dover
ricorrere a massicci lavori di irrigazione, restano in realtà con
difficoltà alimentari: il motivo è da ricercarsi negli squilibri imposti
dagli Stati, dalla politica e dalla gestione economica e non in cause
oggettive o nella povertà economica. Si sostiene attualmente che esistono
maggiori possibilità di contenere un'eccessiva crescita demografica
intervenendo per diminuire la povertà di massa, piuttosto che vincere la
povertà limitandosi a ridurre il tasso di crescita della
popolazione.25
Fin tanto che nei paesi in via di sviluppo le famiglie continueranno a
ritenere che la loro produzione e la loro sicurezza, possano essere
assicurate solo da una prole numerosa, la situazione demografica evolverà
solo lentamente. E necessario ribadire che più generalmente sono le
trasformazioni economiche e sociali26 che consentono ai genitori di
accogliere il dono di un figlio. In questo ambito, l'evoluzione dipende in
gran parte dal livello socio-culturale dei genitori. E necessario dunque
prevedere per le coppie un'educazione alla paternità ed alla maternità
responsabili, nel completo rispetto dei principi etici e morali; conviene
facilitare loro l'accesso a metodi naturali di pianificazione familiare
che risultino in armonia con la vera natura dell'uomo.27
C) LE CAUSE POLITICHE
L'influenza della politica
16. Il blocco dell'afflusso di derrate alimentari è stata utilizzato
nel corso della storia, ieri come oggi, quale arma politica o militare.
Può trattarsi di veri e propri crimini contro l'umanità.
Il XX secolo ha conosciuto numerosi casi del genere, quali, ad
esempio:
a) Il blocco sistematico della fornitura di cibo ai contadini
ucraini da parte di Stalin, attorno al 1930, con un bilancio di circa otto
milioni di morti. Questo crimine, a lungo passato sotto silenzio o quasi,
è stato confermato recentemente in occasione dell'apertura degli archivi
del Cremlino.
b) I recenti assedi in Bosnia, specie quello di Sarajevo, quando
il meccanismo stesso degli aiuti umanitari è stato preso in ostaggio.
c) Gli spostamenti forzati della popolazione in Etiopia, per il
raggiungimento del controllo politico da parte del partito unico al
governo; il bilancio è stato di centinaia di migliaia di morti a seguito
della carestia provocata dalle migrazioni forzate e dall'abbandono delle
culture.
d) Il blocco delle forniture alimentari in Biafra, durante gli
anni '70; lo si utilizzò quale arma contro la secessione politica.
Il crollo dell'Unione Sovietica da un lato ha eliminato le cause delle
guerre civili, provocate dal suo intervento diretto o dalle reazioni ad
esso: rivoluzioni senza sbocco, spostamento forzato di popolazioni,
disorganizzazione dell'agricoltura, lotte tribali, genocidi. Tuttavia
sussistono o sono riapparse numerose situazioni in grado di generare gli
stessi fenomeni. Anche se non dello stesso ordine di grandezza, esse
costituiscono nondimeno un pericolo per le popolazioni: si tratta
segnatamente del risorgere dei nazionalismi, favoriti da qualche Stato a
regime ideologico ma anche dalle ripercussioni a livello locale delle
lotte di influenza tra paesi industrializzati o ancora, in alcuni paesi, e
specie in Africa, dalla lotta per il potere.
Da menzionare altresì le situazioni di embargo per ragioni politiche,
quali quelli nei confronti di Cuba o dell'Iraq, i cui regimi vengono
considerati una minaccia per la sicurezza internazionale e che prendono in
ostaggio, per così dire, le loro popolazioni. Di fatto, sono le
popolazioni stesse — oggetto di questo tipo di atti di forza — ad esserne
le prime vittime. E per questo che i costi in termini umanitari di tali
decisioni debbono essere presi in debita considerazione. D'altro canto,
alcuni responsabili politici fanno leva sulle miserie del loro popolo,
provocate dalle loro stesse macchinazioni, per costringere la comunità
internazionale a ristabilire l'afflusso di rifornimenti. Si tratta ogni
volta di una situazione specifica, da affrontare caso per caso, nello
spirito della Dichiarazione Mondiale sulla Nutrizione, che afferma:
« L'aiuto alimentare non può essere rifiutato per ragioni di obbedienza
politica, di situazione geografica, di sesso, di età o di appartenenza ad
un gruppo etnico, tribale o religioso ».28
Esistono ulteriori ripercussioni dell'azione politica sulla fame. A più
riprese si è assistito all'esportazione gratuita delle eccedenze agricole
(per esempio di grano) da parte dei paesi industrializzati produttori,
verso alcuni paesi con difficoltà di sviluppo e nei quali l'alimentazione
di base è costituita dal riso. Il vero obiettivo era quello di sostenere i
propri prezzi interni. Queste esportazioni gratuite hanno prodotto
risultati molto negativi: la popolazione è stata portata a modificare le
sue abitudini alimentari, scoraggiando in tal modo i produttori locali i
quali, viceversa, hanno bisogno di essere fortemente sostenuti.
La concentrazione dei mezzi
17. Le differenze di condizioni economiche all'interno dei paesi con
difficoltà di sviluppo, sono più vistose di quelle esistenti nei paesi
industrializzati o fra i paesi stessi. La ricchezza ed il potere sono
molto concentrati nell'ambito di uno strato ristretto ma complesso della
popolazione, che è a contatto con gli ambienti internazionali e in
possesso del controllo dell'apparato dello Stato, esso stesso fortemente
deficitario. Qualsiasi tendenza al miglioramento vi è del tutto assente
mentre, a volte, si registrano nette tendenze alla regressione economica e
sociale. Il divario fra il tenore di vita, non solo ingenera situazioni
conflittuali, che possono condurre a violenze a catena, ma favorisce
inoltre il clientelismo quale unica possibilità di realizzazione
personale. Il risultato è quello di paralizzare le iniziative possibili
sul piano meramente economico e, d'altro canto, quello di impoverire
profondamente le motivazioni altruiste che esistono in tutte le società
tradizionali. In un tale contesto, lo Stato svolge spesso un ruolo
preponderante, che gli consente di favorire i settori di esportazione
della produzione — il che di per sé è un bene — lasciando tuttavia uno
scarso margine di profitto all'insieme delle popolazioni locali.
In altri casi, per debolezza o per ambizione politica, le autorità
fissano i prezzi dei prodotti agricoli a livelli talmente bassi che i
contadini finiscono per sovvenzionare gli abitanti delle città, situazione
che favorisce l'esodo rurale. I mezzi di comunicazione di massa,
l'elettronica e la pubblicità, contribuiscono anch'essi a questo
spopolamento delle campagne. L'aiuto allo sviluppo a beneficio di questi
paesi funge allora da incoraggiamento più o meno indiretto a quei governi
che perseguono tali pericolose strategie e vengono in tal modo a
beneficiare di questo sostegno finanziario del tutto illegittimo, in
quanto le loro politiche sono nettamente contrarie al vero interesse dei
loro popoli. I paesi industrializzati debbono interrogarsi se in tal senso
non abbiano malauguratamente lanciato segnali negativi per tanti anni.
Le destrutturazioni economiche e sociali
18. Le destrutturazioni economiche e sociali sono la contemporanea
risultanza di cattive politiche economiche e delle pressioni politiche
nazionali ed internazionali (cf. nn. 11-13 e 17). Qui di seguito sono
menzionate alcune delle più frequenti e delle più perniciose:
a) Le politiche nazionali che, dietro pressione delle
popolazioni svantaggiate delle città, considerate come una potenziale
minaccia alla stabilità politica del paese, abbassano artificialmente i
prezzi agricoli, a detrimento dei produttori locali di prodotti
alimentari. Tale situazione si è generalizzata in Africa nel corso del
decennio 1975-85, provocando una netta diminuzione delle produzioni
locali. Numerosi paesi che disponevano di un ampio potenziale agricolo,
quali lo Zaire e lo Zambia, per la prima volta sono risultati importatori
netti.
b) La politica della maggior parte dei paesi industrializzati, i
quali proteggono ampiamente la loro agricoltura, favorendo la produzione
di eccedenze, che poi esportano a prezzi inferiori a quelli del mercato
interno. Diversamente i prezzi mondiali sarebbero più elevati,
beneficiando così gli altri paesi esportatori. Dopo vari anni di stimolo
all'incremento della produzione, che hanno portato a forti
destrutturazioni nello stesso sistema agricolo, i beneficiari di un tal
genere di protezione si trovano oggi, in Europa, in situazioni non
giustificabili. Questa politica, sostenuta dall'opinione pubblica locale,
può risultare totalmente contraria all'interesse dei consumatori di tutto
il mondo, tanto dei paesi privilegiati quanto di quelli più poveri. Nei
paesi protetti, infatti, sono i consumarori interni a fare le spese di
tale protezione trovando sul mercato prezzi alti; mentre, nei paesi non
protetti, gli agricoltori locali, che pur sono elementi essenziali per il
benessere del proprio paese, vengono penalizzati da importazioni a prezzi
tagliati che gravano notevolmente sui prezzi interni, accelerando la loro
rovina e le migrazioni verso le città.
c) Le culture tradizionali di produzione alimentare sono spesso
minacciate da uno sviluppo economico aberrante, come nel caso, ad esempio,
della sostituzione delle produzioni tradizionali con una agricoltura
industriale mirata sia all'esportazione (grandi derrate agricole destinate
all'esportazione e tributarie dei mercati agricoli internazionali), sia
alla produzione di surrogati locali (per esempio, in Brasile, produzione
di canna da zucchero per l'alcool ad uso automobilistico, allo scopo di
ridurre le importazioni di petrolio, con conseguente sradicamento dei
contadini dalle loro terre e migrazioni in massa).
D) LA TERRA PUÒ NUTRIRE I SUOI ABITANTI
I notevoli progressi dell'umanità
19. A fronte delle macroscopiche incoerenze alle quali abbiamo
accennato, fanno tuttavia riscontro progressi non meno spettacolari che
hanno consentito alla popolazione mondiale di passare in trent'anni
(1960-1990)29 da 3 a 5,3 miliardi. Nei paesi in via di sviluppo « la
speranza di vita alla nascita è passata dai quarantasei anni nel 1960 ai
sessantadue anni nel 1987. Il tasso di mortalità dei bambini al di sotto
dei cinque anni si è ridotto della metà, e due terzi dei lattanti al di
sotto dell'anno di età sono vaccinati contro le principali malattie
dell'infanzia. Il consumo di calorie per abitante è aumentato del 20%
circa fra il 1965 ed il 1985 ».30
Dal 1950 al 1980, la produzione compessiva delle derrate alimentari nel
mondo è raddoppiata e « nel mondo esiste complessivamente sufficiente cibo
per tutti »31. Il fatto che la fame continui nonostante ciò ad esistere,
evidenzia la natura strutturale del problema: « il problema principale è
costituito dalle condizioni di accesso a questo cibo che non sono eque
».32 E un errore quello di misurare il consumo alimentare effettivo delle
famiglie utilizzando il solo parametro statistico della disponibilità di
cereali per abitante. La fame non è un problema di disponibilità, ma di
solvibilità della domanda; è un problema di miseria.
D'altro canto, è da notare che la sopravvivenza di una moltitudine di
individui è assicurata tramite una economia informale che, essendo per sua
stessa natura non dichiarata, è precaria e difficilmente
quantificabile.
I mercati agro-alimentari
20. Sui mercati agro-alimentari mondiali vengono scambiati vari
prodotti che non sempre sono quelli consumati nella maggior parte dei
paesi con difficoltà di sviluppo.33 Le eccessive fluttuazioni dei prezzi,
contrarie agli interessi sia dei produttori che dei consumatori, sono la
risultanza di meccanismi spontanei di aggiustamenti e risultano
amplificate dalle particolari caratteristiche di questi mercati. I
tentativi di stabilizzazione sono risultati tutti poco soddisfacenti, se
non addirittura controproducenti per gli stessi produttori. D'altro canto,
un rialzo dei prezzi è reso impossibile dallo stesso funzionamento dei
mercati. Il limitato numero di operatori commerciali a livello
internazionale, non consente manovre sui prezzi e costituisce un ostacolo
all'inserimento di nuovi soggetti, il che è sempre negativo. Lo sviluppo
delle capacità di produzione dipende in maniera massiccia dalla diffusa
applicazione dei progressi tecnici nella produzione (progressi nel settore
della genetica e delle varie applicazioni). Da notare che la produzione
media di riso in Indonesia è passata, in una sola generazione, da 4 a 15
tonnellate per ettaro, con un aumento di gran lunga superiore a quello
record della popolazione. Nella maggior parte dei paesi nei quali
l'agricoltura progredisce, il rendimento agricolo migliora in tale misura
da consentire un aumento, anche netto, della produzione, nonostante la
notevole contrazione nel numero degli addetti all'agricoltura.
L'agricoltura moderna
21. L'accusa sempre più frequentemente rivolta alle culture intensive è
quella di avere un impatto negativo sull'ambiente e di mettere in pericolo
le risorse naturali quali l'acqua ed i terreni, specie per l'uso
sconsiderato di concimi e di prodotti fitosanitari. In primo luogo, per
agricoltura intensiva si intende un rapporto più elevato fra consumi
intermedi — essenzialmente di tipo industriale — e superficie agricola
utilizzata. Ci troviamo in presenza di un affrancamento delle tecnologie
agricole dalla terra, loro supporto naturale. Il legame di reciprocità che
le univa, cede il posto ad un dualismo più temerario fra tecnologia
agricola ed ambiente economico. L'agricoltura intensiva necessita
generalmente di un cospicuo apporto di capitali finanziari. Ma, nella
maggior parte dei paesi in via di sviluppo, si pratica ancora una cultura
di sussistenza, basata essenzialmente sul « capitale » umano, con mezzi
tecnici limitati oltre che in condizioni di difficoltà di
approvvigionamento idrico. Anche se la « rivoluzione verde » ha ottenuto
un discreto successo, in svariati paesi in via di sviluppo non è stata in
grado di risolvere i problemi di produzione alimentare.
Indubbiamente la tecnica delle culture intensive potrà essere
migliorata ulteriormente ed i danni all'ambiente potranno risultare più
limitati. Tuttavia — e ciò vale anche per i paesi industrializzati — è il
caso di far ricorso ad altri sistemi di produzione, in grado di garantire
meglio sia la tutela delle risorse naturali che la conservazione di
un'ampia distribuzione della proprietà produttiva. In tal senso, è
necessario incoraggiare le associazioni agro-zootecniche, la gestione
patrimoniale dell'acqua, come pure la formazione all'organizzazione
cooperativistica.
II SFIDE DI NATURA ETICA DA AFFRONTARE
INSIEME
La dimensione etica del fenomeno
22. Per progredire verso una soluzione del problema della fame e della
malnutrizione nel mondo, è indispensabile coglierne la natura etica.
Se la causa della fame è un male morale, al di sopra ed al di là di
tutte le cause fisiche, strutturali e culturali, le sfide sono della
stessa natura morale. Ciò può motivare l'uomo di buona volontà che crede
nei valori universali, dentro la varietà delle culture, ed in particolar
modo il cristiano che vive l'esperienza del rapporto preferenziale che il
Signore onnipotente vuole stabilire con ogni uomo, chiunque egli sia.
Questa sfida richiede una migliore comprensione dei fenomeni, la
capacità degli uomini di rendersi reciproco servizio — il che è
realizzabile con il semplice intervento delle forze economiche ben
concepite — ed anche lo sradicamento di ogni genere di corruzione. Ma, ben
oltre, la sfida si colloca principalmente sul piano della libertà di ogni
uomo di cooperare, nella sua azione di ogni giorno, alla promozione di
ogni uomo e di tutti gli uomini, ovvero di collaborare allo sviluppo del
bene comune.34 Tale sviluppo implica la giustizia sociale e la
destinazione universale dei beni della terra, la pratica della solidarietà
e della sussidiarietà, la pace ed il rispetto dell'ambiente naturale.
Questa è la direzione da prendere per ridare la speranza e per costruire
un mondo più accogliente per le prossime generazioni.
Affinché sia possibile progredire in tal senso, dovrà essere favorita,
promossa ed eventualmente nuovamente incoraggiata la ricerca organica del
bene comune, quale necessaria componente delle motivazioni di base di
tutti gli attori politici ed economici, nella loro riflessione e nel loro
agire, a tutti i livelli ed in tutti i paesi.
Le motivazioni personali ed istituzionali delle persone sono necessarie
al buon funzionamento della società, ivi comprese le famiglie. Ma gli
uomini, ognuno per conto suo e tutti congiuntamente, debbono far propria
questa conversione che consiste nel non sacrificare la ricerca del bene
comune al proprio interesse strettamente personale, a quello dei loro
congiunti, dei loro datori di lavoro, dei loro clan, dei loro paesi, anche
se legittimi.
I principi elaborati a poco a poco dalla dottrina sociale della Chiesa
costituiscono una guida preziosa per l'impegno dell'umanità contro la
fame. Il perseguimento del bene comune è l'area di incontro ove
convergono: – la ricerca della massima efficacia nella gestione dei
beni terreni; – un maggior rispetto della giustizia sociale attuata
mediante la destinazione universale dei beni; – l'esercizio della
solidarietà, che impedisce l'appropriazione dei mezzi finanziari da parte
dei benestanti, e che consentirà ad ogni uomo di non venire escluso dal
corpo sociale ed economico, nè di essere privato della sua dignità
fondamentale. – una pratica competente e permanente della sussidiarietà
— che garantisce i responsabili dall'appropriarsi del potere, che, di
fatto, è il potere di servire;
E dunque l'insieme dell'insegnamento sociale della Chiesa che deve
impregnare più o meno coscientemente la filosofia dell'azione dei
responsabili.
Tale affermazione rischia di essere accolta con scetticismo o
addirittura con cinismo. L'attività di molti responsabili si svolge in un
ambiente duro, a volte crudele, generatore di angosce e di una orgogliosa
ricerca del potere, per mantenerlo. Costoro possono essere inclini a
ritenere che le considerazioni etiche costituiscano altrettanti ostacoli.
Tuttavia, la frequente esperienza quotidiana nei luoghi più diversi,
dimostra che le cose stanno altrimenti: in effetti, solo uno sviluppo
equilibrato e che mira al bene comune si rivelerà autentico e contribuirà
— anche se a lungo termine — alla stabilità sociale. Ad ogni livello, ed
in tutti i paesi, molti sono coloro che normalmente operano in maniera
discreta, tenendo conto degli interessi legittimi dei loro simili.
Compito immenso dei cristiani è, ovunque, la promozione di
comportamenti di tal genere: al pari di un pizzico di lievito in una pasta
molto dura, vi sono chiamati dalla loro stretta adesione all'amore che il
Signore ha per tutti gli uomini e che essi sperimentano nel profondo del
loro essere.
Questo compito esaltante si traduce nell'offrirne l'esempio in ogni
ambito, tecnico, organizzativo, morale e spirituale, aiutandosi
reciprocamente a tutti i livelli di responsabilità, coinvolgendo tutti
coloro che non ne sono « esclusi » dalle loro condizioni sociali.
L'amore del prossimo per raggiungere lo sviluppo
23. Questa ricerca del bene comune si può fondare esclusivamente
sull'attenzione e sull'amore per gli uomini. Nelle situazioni più diverse,
essi si trovano ogni giorno di fronte all'alternativa: autodistruzione
personale e collettiva o amore per il prossimo. La seconda opzione
manifesta la consapevolezza di una responsabilità che, per amore degli
uomini, non indietreggia di fronte ai propri limiti, né di fronte
all'ampiezza dei compiti da realizzare. « Come giudicherà la storia una
generazione che ha tutti i mezzi per nutrire la popolazione del pianeta e
che si rifiuterebbe di farlo per un accecamento fratricida? Che deserto
sarebbe un mondo in cui la miseria non incontrasse l'amore che fa vivere?
».35
L'amore va oltre il semplice dono. Lo sviluppo si coltiva mediante
l'azione dei più coraggiosi, dei più competenti e dei più onesti: costoro
si sentono allo stesso tempo solidali con tutti gli uomini che sono
condizionati in misura maggiore o minore da ciò che essi fanno o
dovrebbero fare. Tale responsabilità universale e concreta è una
manifestazione essenziale dell'altruismo.
La solidarietà è chiaramente un'esigenza per tutti. Fortunatamente, non
è necessario attendere che la maggioranza degli uomini si converta
all'amore per il prossimo, per raccogliere i frutti dell'azione di coloro
che agiscono nel proprio contesto senza attendere. Vanno accolti come
fondato motivo di speranza i risultati dell'azione di coloro i quali, a
tutti i livelli, nella loro attività quotidiana, si comportano quali
servitori di tutto l'uomo e di tutti gli uomini.
La giustizia sociale e la destinazione universale dei
beni
24. Al centro della giustizia sociale si colloca il principio della
destinazione universale e comune dei beni della terra. Il Papa Giovanni
Paolo II così lo ha espresso: « Dio ha dato la terra a tutto il genere
umano perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere nè
privilegiare nessuno ».36 Questa affermazione, costante nella tradizione
cristiana, non è sufficientemente ribadita, anche se essa si rivolge
chiaramente all'umanità intera, a prescindere dall'appartenenza
confessionale. Tale assioma costituisce di per sè un fondamento necessario
per l'edificazione di una società di giustizia, di pace e di solidarietà.
Infatti, generazione dopo generazione, dobbiamo considerarci come coloro
che amministrano temporaneamente le risorse della terra e il sistema di
produzione. A fronte delle finalità della creazione, il diritto di
proprietà non è un assoluto, tanto è vero che è esercitato e riconosciuto
in maniera diversa dalle diverse culture; è una delle espressioni della
dignità di ciascuno, ma è giusto solo in quanto indirizzato al bene comune
e se concorre alla promozione di tutti.
Le costose deviazioni dal bene comune: le « strutture di peccato
»
25. Ignorare il bene comune si accompagna ad una ricerca esclusiva e a
volte esasperata di beni particolari quali il denaro, il potere, la
reputazione, perseguiti per se stessi come un assoluto: essi si convertono
così in idoli. E in tal modo che nascono le « strutture di peccato »,37
coacervo di luoghi e di circostanze, ove le abitudini sono perverse e tali
da obbligare a dar prova di eroismo qualsiasi nuovo venuto che si rifiuti
di adottarle.
Le « strutture di peccato » sono molteplici: alcune sono diffuse a
livello mondiale — come per esempio i meccanismi ed i comportamenti che
generano la fame — altre sono su scala molto più ridotta, ma provocano
dissimmetrie tali da rendere molto più difficile la pratica del bene.
Queste « strutture » determinano sempre costi elevati in termini umani:
sono luoghi di distruzione del bene comune.
E meno frequente constatare quanto esse siano degradanti e costose a
livello economico. Se ne possono offrire esempi sconvolgenti.38 Lo
sviluppo è frenato non soltanto dall'ignoranza e dall'incompetenza, ma
anche, e su vasta scala, dalle molteplici « strutture di peccato » che
agiscono quale contagiosa deviazione della destinazione universale dei
beni della terra verso scopi particolari e sterili.
E evidente, in effetti, che l'uomo non può sottomettere la terra e
dominarla in maniera efficaceadorando nel contempo falsi idoli quali il
denaro, il potere e la reputazione, considerati beni a sé stanti e non
strumenti per servire ogni uomo e tutti gli uomini. Cupidigia, orgoglio e
vanità accecano colui che vi soccombe e che finisce per non comprendere
più neppure quanto le sue percezioni siano limitate e le sue azioni
autodistruttive.
La destinazione universale dei beni presuppone che denaro, potere e
reputazione siano ricercati quali strumenti per:
a) costituire mezzi di produzione di beni e servizi di effettiva
utilità sociale ed in grado di promuovere il bene comune;
b) condividere con i più svantaggiati che incarnano, agli occhi
di tutti gli uomini di buona volontà, il bisogno di bene comune: in
effetti, essi sono testimonianza vivente della carenza di tale bene. Più
ancora, per i cristiani, essi sono figli amati da Dio che, tramite loro ed
in loro, viene a visitarci.
L'« assolutizzazione » di queste ricchezze le spoglia, in tutto o in
parte, della loro utilità per il bene comune. Il funzionamento
dell'economia mondiale appare globalmente mediocre — specie in rapporto ai
risultati di punta che ottengono alcuni paesi su periodi alquanto lunghi —
ed estremamente costoso in termini umani (laddove funziona e laddove non
funziona), in quanto è profondamente minato dal costo delle cattive
abitudini, vera costrizione morale che grava sugli individui.
Invece, non appena dei gruppi di persone riescono a lavorare di comune
accordo facendosi carico della collettività intera e di ogni singola
persona, si registrano progressi notevoli: persone fino a quel momento
poco utili, eccellono per la qualità dei loro servizi e gli esiti positivi
modificano progressivamente le condizioni materiali, psicologiche e morali
della vita. Si tratta in realtà degli « opposti » delle « strutture di
peccato »; le si potrebbero definire « strutture del bene comune », che
preparano la « civiltà dell'amore ».39 L'esperienza vissuta in queste
situazioni offre una pallida idea di quello che potrebbe essere un mondo
in cui gli uomini avessero più frequentemente a cuore, in tutte le loro
attività e nell'esercizio di tutte le loro responsabilità, i loro
interessi comuni e la sorte di ciascuno.
All'ascolto preferenziale dei poveri ed al loro servizio: la
condivisione
26. Se chi è economicamente povero è testimonianza della scarsa
attenzione per il bene comune, egli ha anche un messaggio particolare da
darci. Sulla realtà della vita pratica ha pareri ed esperienze a lui
propri, che i più fortunati non conoscono. Come afferma Papa Giovanni
Paolo II nella Lettera Enciclica Centesimus annus: « ma soprattutto
sarà necessario abbandonare la mentalità che considera i poveri — persone
e popoli — come un fardello e come fastidiosi importuni, che pretendono di
consumare quanto altri hanno prodotto... l'elevazione dei poveri è una
grande occasione per la crescita morale, culturale ed anche economica
dell'intera umanità ».40
I pareri degli indigenti — che non sono nè più nè meno esatti e
completi dei pareri dei responsabili — sono tuttavia essenziali a questi
ultimi, se desiderano che la loro azione a lungo termine non conduca
all'autodistruzione. Avviare politiche economiche e sociali difficili e
costose, senza tener conto della percezione della realtà che ha il più
piccolo, rischia di portare entro un certo lasso di tempo a vicoli ciechi,
che sono assai onerosi per la terra intera. E quanto è avvenuto con il
debito del Terzo Mondo. Se i creditori ed i debitori avessero considerato
il punto di vista dei più poveri quale uno degli elementi essenziali della
realtà — dando così prova di maggiore saggezza — sarebbero stati indotti
ad una maggiore prudenza, e in molti paesi, l'avventura non si sarebbe
risolta così male o addirittura avrebbe volto al meglio.
Nella complessità dei problemi da risolvere, o piuttosto, nella
complessità delle condizioni di vita da migliorare, questo ascolto
preferenziale dei poveri consente di non cadere nella schiavitù del breve
termine, nella tecnocrazia, nella burocrazia, nell'ideologia,
nell'idolatria del ruolo dello Stato o del ruolo del mercato; gli uni e
gli altri hanno la loro utilità essenziale, ma in quanto strumenti da non
assolutizzare.
Gli organismi intermedi hanno specificamente la funzione di far
intendere la voce dei poveri e di cogliere le loro percezioni, al pari
delle loro necessità e dei loro desideri. Ma spesso, questi organismi sono
particolarmente disarmati di fronte al loro compito. Risentono a volte
della loro posizione di monopolio, che li porta a coltivare il proprio
potere; altre volte di posizioni concorrenziali, dove altri cercano di
utilizzare il povero come mezzo per accedere al potere. L'azione dei
sindacati è dunque particolarmente necessaria e sfiora l'eroismo quando
questi vogliono svolgere una funzione così essenziale, senza farsi
distruggere o fagocitare.41
In tali condizioni, la condivisione diventa un'autentica collaborazione
alla quale ciascuno contribuisce, offrendo a tutti ciò di cui necessita la
comunità degli uomini. Il più svantaggiato svolge il suo specifico ruolo,
tanto più essenziale essendo egli realmente un escluso.42 Questo paradosso
non deve meravigliare il cristiano.
Il dovere di garantire a ciascuno lo stesso diritto di accesso al
minimo indispensabile per vivere non è più unicamente obbligo morale di
condivisione con l'indigente — cosa già notevole — ma reintegrazione nella
stessa comunità che, senza di lui, tende ad inaridirsi e finanche a
distruggersi. Il posto del povero non è alla periferia, in una
emarginazione dalla quale si potrebbe tentare bene o male di farlo uscire.
Egli deve essere posto al centro delle nostre preoccupazioni ed al centro
della famiglia umana. E là che potrà svolgere l'unico ruolo unico che gli
compete nella comunità.
In questa prospettiva, la giustizia sociale, che è anche giustizia
commutativa, acquista pieno significato. Fondamento di tutte le azioni per
la difesa dei diritti, assicura la coesione sociale, la coesistenza
pacifica delle nazioni, ma anche il loro comune sviluppo.
Una società integrata
27. La concezione di una giustizia radicata nella solidarietà umana, e
che a questo titolo comanda ai più forti di aiutare i più deboli, deve
condurre i nostri passi ovunque la voce del povero si faccia sentire, per
aprire un solo cantiere ove giustizia, pace e carità congiungano i loro
sforzi.
Le società non possono validamente costituirsi sull'esclusione di
alcuni dei loro membri. Ne consegue, per coerenza, ed è quindi implicito,
il diritto che anche i poveri hanno di organizzarsi per meglio ottenere
l'aiuto di tutti nella lotta di liberazione dalla loro miseria.
La pace, un equilibrio di diritti
28. Una pace duratura non è frutto di un equilibrio di forze ma di un
equilibrio di diritti. La pace non è neppure frutto della vittoria del
forte sul debole, ma, all'interno di ogni popolo e fra i popoli, frutto
della vittoria della giustizia sui privilegi iniqui, della libertà sulla
tirannia, della verità sulla menzogna,43 dello sviluppo sulla fame, la
miseria o l'umiliazione. Per giungere ad una vera ed autentica pace, ad
un'effettiva sicurezza internazionale, non è sufficiente impedire le
guerre ed i conflitti; è necessario anche favorire lo sviluppo, creare
condizioni in grado di garantire il pieno godimento dei diritti
fondamentali dell'uomo.44 In tale contesto, democrazia e disarmo diventano
due esigenze della pace, indispensabile per uno sviluppo autentico.
Il disarmo, un'urgenza da cogliere
29. I conflitti regionali sono costati circa diciassette milioni di
morti in meno di mezzo secolo. « Negli anni '80, il totale mondiale delle
spese militari ha raggiunto un livello senza precedenti in tempi di pace;
valutate a un bilione (mille miliardi) di dollari l'anno, rappresentano
all'incirca il cinque per cento del totale del reddito mondiale ».45 Di
qui l'importanza e l'urgenza, per tutti i responsabili politici ed
economici, di far sì che tali enormi somme stanziate per la morte,
nell'emisfero settentrionale come in quello meridionale, lo siano, d'ora
in poi, per la vita. Un tale atteggiamento costituirebbe il riscontro
fattuale delle ragioni morali che sostengono il disarmo progressivo; in
tal modo si potrebbero rendere disponibili importanti risorse finanziarie
a vantaggio dei paesi in via di sviluppo, somme indispensabili al loro
autentico progresso.46
Una « struttura di peccato » particolarmente radicata è costituita
dall'esportazione di armi in misura superiore alle necessità legittime di
autodifesa dei paesi acquirenti, oppure destinate a trafficanti
internazionali, che oggi propongono su catalogo le armi più sofisticate a
coloro che hanno i mezzi per acquistarle. Su questo terreno fiorisce la
corruzione, ma il male è ancor più profondo. Si devono lodare quei governi
che, subentrati a regimi che avevano impegnato i loro paesi nell'acquisto
di armi in quantità di gran lunga superiore ai loro bisogni, hanno avuto
il coraggio di denunciare questi contratti, rischiando in tal modo di
alienarsi la benevolenza dei paesi esportatori.
Rispetto dell'ambiente
30. La natura ci sta dando una lezione di solidarietà che rischiamo di
dimenticare. Nella catena stessa della produzione alimentare, tutti gli
uomini si scoprono elementi attivi o passivi di un ecosistema. Un nuovo
campo di responsabilità si apre alle coscienze.
Non si può voler contemporaneamente nutrire un maggior numero di
persone ed indebolire l'agricoltura. Tuttavia, l'agricoltura risulta tanto
più inquinante (ricorso massiccio a concimi, pesticidi e macchinari)
quanto più diffusa diventa l'industrializzazione, senza che purtroppo a
ciò faccia riscontro una corretta lavorazione. Assieme ad altri elementi
necessari alla vita, aria e acqua, terreni e foreste sono minacciati
dall'inquinamento, dal consumo eccessivo, dalla desertificazione provocata
dall'uomo e dal disboscamento. In cinquant'anni, metà delle foreste
tropicali sono state rase al suolo, il più delle volte per ricavarne
terreni, o per politiche cieche di sfruttamento accelerato, volto a
riequilibrare l'onere del debito. Nelle regioni più povere, la
desertificazione è provocata da pratiche di sopravvivenza che aumentano la
povertà: pastorizia eccessiva, taglio di alberi ed arbusti per la cottura
degli alimenti e per il riscaldamento.47
Ecologia e sviluppo equo
31. Una gestione ecologicamente sana del pianeta è urgente. Limitandosi
al solo aspetto della produzione agroalimentare — già notevole — si
evidenziano due elementi. In primo luogo, il suo costo andrà integrato
nell'attività economica:48 qui bisogna domandarsi se sono sempre i poveri
a doverne sopportare l'onere a scapito della loro alimentazione. In
secondo luogo, la preoccupazione di comprendere meglio l'equilibrio fra
ecologia ed economia fa maturare l'idea attuale di sviluppo duraturo. Ma
questo obiettivo non deve offuscare la necessità di promuovere, con ancor
maggior vigore, uno sviluppo equo. In ultima analisi, lo sviluppo non può
essere duraturo se non nella misura in cui è equo. Altrimenti, è probabile
che alle distorsioni attuali se ne aggiungano di nuove.
Cogliere insieme la sfida
32. Fame e malnutrizione richiedono azioni specifiche che non possono
essere dissociate da un impegno rinnovato per lo sviluppo integrale della
persona e dei popoli. Di fronte all'ampiezza di questo fenomeno, la Chiesa
Cattolica deve sempre più contribuire a migliorare tale situazione. Fa
dunque appello alla partecipazione di tutti, alla concertazione ed alla
perseveranza.
Molti, fortunatamente, sono gli sforzi già messi in atto per vincere la
fame da parte di singole persone, delle Organizzazioni non governative,
dei poteri pubblici e delle Organizzazioni internazionali. Basti ricordare
soltanto la Campagna mondiale contro la fame ed altre iniziative, alle
quali i cristiani partecipano volentieri.
Riconoscere il contributo dei poveri alla democrazia
33. Il dinamismo dei poveri è poco conosciuto. Per invertire questa
tendenza è necessario modificare vari atteggiamenti e prassi, economiche,
sociali, culturali e politiche. Quando i poveri sono tenuti in disparte
dall'elaborazione di quei progetti che li riguardano, la storia dimostra
che, in linea di principio, non ne traggono beneficio. La solidarietà
della comunità umana è tutta da costruire. Non si imparerà a condividere
il pane quotidiano, se non favorendo un riorientamento delle coscienze e
delle azioni dell'intera società.49 Sono questi gli atteggiamenti che
conducono ad una vera democrazia.
La democrazia è generalmente considerata elemento essenziale per lo
sviluppo umano, in quanto consente una partecipazione responsabile alla
gestione della società; d'altra parte, i due elementi vanno di pari passo,
e la fragilità dell'una può compromettere l'altro. Se il principio
d'uguaglianza soccombe di fronte ai rapporti di forza, il ruolo dei poveri
nella società sarà ridotto a quello della mera sopravvivenza. Una
democrazia si giudica dalla sua capacità di coniugare libertà e
solidarietà, prendendo così radicalmente le distanze dal liberalismo
assoluto o da altre dottrine, che negano il senso della libertà o che
costituiscono ostacolo alla vera solidarietà.50
Le iniziative comunitarie
34. Di fronte alla miseria, ovunque un numero crescente di individui e
di gruppi scelgono di partecipare ad azioni comunitarie. Tali iniziative
vanno fortemente incoraggiate. Attualmente, un numero sempre maggiore di
paesi appoggia la partecipazione popolare, ma alcune realtà operano
tentando ancora, con conseguenze a volte molto pesanti, di ridurre al
silenzio tali iniziative che, se li disturbano, rappresentano tuttavia le
basi indispensabili per un effettivo sviluppo.
Alcune Organizzazioni non governative (ONG) per lo sviluppo, create a
partire da iniziative locali, hanno favorito la formazione di una nuova
società civile a base popolare in molti paesi in via di sviluppo,
organizzando mezzi di concertazione e di sostegno molto diversificati.
Grazie ai dinamismi popolari che in tal modo si sono aperti la strada,
numerosi individui fra i più indigenti, possono finalmente uscire dalla
loro miseria e migliorare la loro condizione di fronte alla fame e alla
malnutrizione.
Nel corso degli ultimi anni, alcune Associazioni Internazionali
Cattoliche e nuove comunità ecclesiali hanno avviato varie iniziative in
campo socio-economico. Per combattere la fame e la miseria, si ispirano
alle corporazioni medioevali e specie alle unioni cooperative del XIX
secolo, nelle quali promotori del bene comune fondavano delle istituzioni
secondo lo spirito evangelico o trovando supporto nella solidarietà
sociale. Il primo a sottolineare la necessità di organizzarsi per la
promozione sociale fu il quacchero P. C. Plockboy (, 1695). Altri pionieri
del passato più conosciuti sono: Félicité Robert de Lamennais (1782-1854),
Adolf Kolping (, 1856), Robert Owen (1771-1858), il barone Wilhelm
Emmanuel von Ketteler (1811-1877), mentre oggigiorno sorgono associazioni
che mirano al bene comune della società e intendono arginare l'egoismo,
l'orgoglio e l'avidità che spesso costituiscono le leggi della vita
collettiva. Le esperienze maturate nel corso di tutta la storia ed i
risultati di queste nuove iniziative danno adito a sperare di trarne i
frutti in futuro.51
L'accesso al credito
35. « Uno dei grandi risultati delle ONG è stato quello di garantire ai
poveri l'accesso al credito ».52 Questo accesso al credito da parte di
gruppi popolari è divenuto una pratica d'avanguardia, in grado di far
progredire un'economia di sussistenza informale fino a costituire un reale
tessuto economico di base. Forse, si è ancora lontani dall'innalzare in
maniera significativa il livello del Prodotto Interno Lordo (PIL), ma
l'importanza del fenomeno risiede anche nel suo significato intrinseco e
nella strada che apre. Sostenendo le iniziative comunitarie, dando fiducia
ai partners locali, si evita il persistere di schemi assistenziali e si
gettano lentamente le basi di uno sviluppo integrale.53
Il ruolo fondamentale delle donne
36. Nella lotta contro la fame e in favore dello sviluppo, il ruolo
della donna è, di fatto, fondamentale, pur se spesso non ancora
sufficientemente riconosciuto ed apprezzato. E opportuno sottolineare il
ruolo primario della donna nella sopravvivenza di intere popolazioni,
specie in Africa. Sono spesso le donne che producono il necessario per
l'alimentazione delle famiglie. Specie nei paesi in via di sviluppo, ad
esse spetta di dare alla loro famiglia un'alimentazione sana ed
equilibrata, ma diventano le prime vittime di decisioni adottate a loro
insaputa, quali l'abbandono delle culture orticole e dei mercati locali di
cui, tuttavia, esse sono i principali operatori. Tale approccio non
rispetta le donne e nuoce allo sviluppo; in simili condizioni, il
passaggio all'economia di mercato e l'introduzione delle tecnologie
possono peggiorare — nonostante le migliori intenzioni — le condizioni di
lavoro delle donne.
La malnutrizione colpisce le donne in maniera particolare: sono loro le
prime a risentirne, ed il loro stato si ripercuote poi sulle loro
maternità, incidendo sul futuro sanitario e scolastico dei figli.
Ma lo scopo di questa lotta deve inseririsi in un contesto più
ambizioso: mirare a migliorare nei paesi poveri lo status sociale delle
donne, offrendo loro un miglior accesso alle cure sanitarie, alla
formazione ed anche al credito. In tal modo, le donne potranno collaborare
al meglio all'aumento della produzione, alla realizzazione dello sviluppo,
all'evoluzione economica e politica dei loro paesi.54
Ma questo progresso deve aver cura di conservare i ruoli dell'uomo e
della donna, senza scavare un solco fra di loro, evitando di
femminilizzare gli uomini o di virilizzare le donne.55 L'auspicabile
evoluzione della condizione della donna non deve far perdere di vista,
tuttavia, l'attenzione che essa deve dare alla vita che nasce e che
sboccia. Alcuni paesi in fase di sviluppo ne offrono l'esempio, arginando
quelle eccessive modifiche della sensibilità femminile che si verificano
attualmente in Occidente, senza con ciò paralizzare la donna nel suo ruolo
tradizionale. In effetti, non bisogna ripetere in questo ambito gli errori
commessi penalizzando le strutture tradizionali a vantaggio dei modelli
occidentali, particolarmente inadatti alle situazioni locali ed adottati
senza i necessari adeguamenti.
Integrità e senso sociale
37. E imperativo motivare tutti gli attori sociali ed economici a
favorire politiche di sviluppo che abbiano per obiettivo quello di
assicurare a tutti gli uomini pari opportunità di vivere dignitosamente e
questo con il concorso degli sforzi e dei sacrifici necessari. Ciò
risulterà però impossibile se i responsabili non dimostreranno
indiscutibilmente la loro integrità e il loro senso del bene comune. I
fenomeni di fughe di capitali, di spreco o di appropriazione delle risorse
a vantaggio di una minoranza familiare, sociale, etnica o politica, sono
diffusi e di pubblico dominio. Tali deviazioni vengono denunciate di
sovente, senza che per questo gli autori siano di fatto sollecitati a
porre fine a queste attività — a volte di notevole entità — che ledono gli
interessi dei poveri.56
E specialmente la corruzione57 che spesso ostacola le riforme
necessarie al perseguimento del bene comune e della giustizia, le quali
vanno di pari passo. La corruzione, dalle molteplici cause, costituisce in
primo luogo un gravissimo abuso della fiducia che la società accorda ad un
individuo, a cui viene affidato il mandato di rappresentarla ed il quale,
invece,approfitta di tale potere per trarne vantaggi personali. La
corruzione è uno dei meccanismi costitutivi di numerose « strutture di
peccato » ed il suo costo per il pianeta è di gran lunga superiore
all'ammontare complessivo delle somme sottratte.
III VERSO UN'ECONOMIA PIU' SOLIDALE
Per meglio servire l'uomo e tutti gli uomini
38. La crescita della ricchezza è necessaria allo sviluppo, ma le
grandi riforme macro-economiche — che comportano sempre una limitazione
dei redditi — possono fallire, se le riforme strutturali non vengono
avviate con l'energia ed il coraggio politico necessari, specie per quanto
attiene al settore pubblico: riforma del ruolo dello stato, eliminazione
degli ostacoli politici e sociali. In questo caso, causano inutili
sofferenze ed accelerano una ricaduta. Queste grandi riforme, a volte
eccessivamente brutali, sono sempre accompagnate da aiuti provenienti
dalla comunità internazionale che fa pressione sul potere politico, spesso
dietro sua richiesta, per porre il paese di fronte alle sue scelte ed
aiutarlo ad adottare delle decisioni, che i paesi industrializzati non
hanno più avuto motivo di adottare dagli anni della ricostruzione, dopo la
seconda guerra mondiale.
Per le istituzioni internazionali è doveroso includere nei piani
elaborati dai governi, ascoltatone il parere, delle disposizioni mirate ad
alleviare la sofferenza di coloro che verranno maggiormente colpiti da
tali misure necessarie. Sta a loro nutrire fiducia nei confronti dei
dirigenti del paese, cosicché questo realmente benefici, in quel
determinato momento, degli aiuti finanziari pubblici e privati. Le
istituzioni internazionali debbono anche far pressione sul governo
affinché tutte le categorie sociali possano partecipare allo sforzo
comune. Diversamente, questo non sarà in grado di percorrere la strada, se
pur appena abbozzata, del bene comune e della giustizia sociale, così
difficile da salvaguardare in tali circostanze.
Per raggiungere tale obiettivo, il personale degli organismi
internazionali deve dar prova non solo di rigore tecnico — cui,
fortunatamente, è solito — ma deve anche dimostrare di avere a cuore gli
interessi dei singoli individui, il che non può essere inculcato tramite
disposizioni burocratiche o ricorrendo ad una formazione di natura
puramente economica. E in queste situazioni che l'ascolto preferenziale
del povero deve farsi particolarmente attento: si debbono prevedere
disposizioni precise, di comune accordo con le ONG e le Associazioni
cattoliche che sono a contatto e contemporaneamente al servizio dei più
deboli. Non si insisterà mai troppo su questo punto: esso è essenziale e i
responsabili nazionali ed internazionali possono facilmente trascurarlo,
in quanto il lavoro tecnico presenta di per sé considerevoli
difficoltà.
In linea di massima, tutti gli organismi nazionali ed internazionali,
in rapporto permanente con i singoli paesi con difficoltà di sviluppo,
debbono aprire canali di comunicazione personali ed ufficiosi fra coloro
che operano sul campo, al servizio delle popolazioni, ed il personale
tecnico che mette a punto i programmi di riforma. Ma per non scivolare
nell'economicismo e nell'ideologia, ciò deve realizzarsi nella reciproca
fiducia tra coloro che condividono il servizio agli uomini ed a ciascun
uomo.
Far convergere l'azione di tutti
39. I paesi più ricchi hanno una responsabilità di primo piano nella
riforma dell'economia mondiale.
In questi ultimi tempi hanno privilegiato i rapporti con i paesi che
registrano un certo decollo economico — quelli effettivamente in via di
sviluppo — ed anche con i paesi dell'Est europeo, la cui evoluzione può
costituire una minaccia geograficamente vicina.
Sul loro stesso territorio, i paesi ricchi non mancano di indigenti e
di difficoltà nell'attuazione delle necessarie riforme. Esiste allora la
tentazione di far slittare in secondo piano il problema dei poveri dei
paesi con difficoltà di sviluppo. « Non spetta a noi farci carico della
miseria del mondo » è la fase che riecheggia spesso nei paesi globalmente
ricchi.
Un simile atteggiamento, se si confermasse, sarebbe sia indegno che
miope. Ogni persona, ovunque si trovi, specie se dispone di mezzi
economici e di autorità politica, deve aprirsi all'ascolto della miseria
dei più derelitti, per tenere conto nelle proprie decisioni e nelle
proprie azioni degli interessi di costoro. Questo appello si rivolge a
tutti coloro che debbono prendere delle decisioni concernenti i paesi in
via di sviluppo.
Ma esso si rivolge anche a tutti coloro i quali, sia nell'ambito dei
diversi paesi, sia a livello internazionale, bloccano di fatto le
possibilità di agire in favore del bene comune, per proteggere interessi
che di per sé possono essere del tutto legittimi. La protezione di un
diritto acquisito in un determinato paese, può comportare il persistere
della fame in una qualche parte del mondo, senza che si possa cogliere un
nesso preciso di causalità, nè identificarne le vittime; diventa facile,
allora, negarne l'esistenza. Altri atteggiamenti conservatori, ad altri
livelli ed in altri luoghi, possono entrare in gioco e contribuire alle
stesse situazioni di stallo.
La riforma del commercio internazionale è in via di realizzazione e
allo stesso tempo sempre auspicata. Di fatto, coinvolge soprattutto i
poveri dei paesi ricchi. Di qui la capitale importanza che queste priorità
non facciano dimenticare la situazione degli indigenti dei paesi poveri,
che sono pressoché senza voce a livello internazionale. Costoro debbono
ritornare al centro delle preoccupazioni internazionali, congiuntamente
alle altre priorità. E lodevole il fatto che, recentemente, la Banca
Mondiale abbia dato preminenza allo « sradicamento della miseria ».
I responsabili dei paesi in via di sviluppo non debbono, a loro volta,
confidare su un'ipotetica riforma internazionale prima di dedicarsi alle
riforme interne ai loro paesi, spesso palesemente necessarie per favorire
un certo decollo economico. Questo decollo non dipende da misure
particolari ma, da una coraggiosa e costante applicazione di semplici
regole che consentano, a chi ne è in grado, di avviare iniziative valide,
conservandone parte dei frutti; e d'altra parte impediscano, a coloro che
ne sono incapaci, di prelevare dalle risorse nazionali un compenso non
correlato al loro apporto. I popoli debbono « sentirsi i principali
artefici ed i primi responsabili del loro progresso economico e sociale
».58 Come già precedentemente menzionato, spetta ai governi e alle
istituzioni in rapporto con i paesi in via di sviluppo, manifestare
chiaramente la loro preferenza in favore di atteggiamenti responsabili e
coraggiosi al servizio delle comunità nazionali.
La volontà politica dei paesi industrializzati
40. I poteri pubblici dei paesi globalmente ricchi, debbono intervenire
sull'opinione pubblica per sensibilizzarla alla situazione dei poveri,
siano essi vicini o lontani. Spetta a loro, parimenti, sostenere
vigorosamente l'azione delle istituzioni internazionali che si occupano di
queste sofferenze, per aiutarle ad intraprendere iniziative immediate e
durature in grado di arginare la fame nel mondo. E quanto la Chiesa, da
parte sua, chiede con grande tenacia da oltre cento anni nei confronti di
tutti e contro tutti: essa chiede che i diritti dei più deboli siano
protetti, tra l'altro, tramite interventi delle pubbliche autorità.59
Per sensibilizzare e mobilitare la comunità internazionale, specie per
quanto attiene alla dimensione etica delle problematiche in questione, si
possono trovare riferimenti energici e precisi in numerosi testi
elaborati, per esempio, dal Consiglio Economico e Sociale (precisamente
dalla sua Commissione dei diritti dell'uomo) o dall'UNICEF. Limitandosi a
menzionare i lavori della FAO, ben nota in proposito, la convergenza già
evocata fra l'insegnamento della Chiesa e gli sforzi di crescente
mobilitazione intrapresi dalla comunità internazionale, affiora in tutta
la sua evidenza, in un certo numero di strumenti quali la « Charte des
Paysans » (carta dei lavoratori agricoli) contenuta nella Dichiarazione
mondiale sulla riforma agraria e lo sviluppo rurale (1979),60 il
Patto mondiale sulla sicurezza alimentare,61 la Dichiarazione
mondiale sulla nutrizione ed il Programma di azione adottato
dalla Conferenza Internazionale sull'Alimentazione (1992),62 senza
dimenticare diversi codici di condotta o impegni internazionali —
politicamente o moralmente vincolanti — sui pesticidi, sulle risorse
fitogenetiche, ecc. E importante far notare che questo punto di vista
etico è stato recentemente fatto proprio dalla Banca Mondiale.63
Lo sviluppo umano non potrà essere il risultato di meccanismi economici
che funzionano in modo automatico, e che basta favorire. L'economia
diventerà più umana grazie ad un insieme di riforme a tutto campo, tutte
ispirate dal miglior servizio del vero bene comune, ovvero da una visione
etica fondata sul valore infinito di ogni uomo e di tutti gli uomini; da
una economia che si lascia ispirare dalla « necessità di costruire i
rapporti fra i popoli su uno scambio costante di doni, su una effettiva «
cultura oblativa », in virtù della quale ogni paese sarebbe aperto ai
bisogni dei meno avvantaggiati ».64
Stabilire equamente le condizioni di scambio
41. Il funzionamento dei mercati, per favorire lo sviluppo, necessita
tuttavia di una saggia regolamentazione. Il mercato ha sue proprie leggi
che oltrepassano la capacità di decisione dei suoi partecipanti, per
quanto costoro siano sufficientemente numerosi e sufficientemente
indipendenti gli uni dagli altri; è quanto avviene sui mercati delle
materie prime minerali, nonostante i considerevoli sforzi compiuti sia dai
governi — ivi compresi alcuni organismi internazionali, in particolare
dall'UNCTAD (Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo
Sviluppo) — sia da imprese del settore privato. Non risulta possibile, in
nome di ragioni politiche o umanitarie, affrancarsi dal livello dei prezzi
risultante dal cieco funzionamento dei mercati. Tuttavia, ci si deve
assicurare che questi non siano oggetto di tentativi di manipolazione.
D'altronde, è compito dei paesi importatori non conservare o non
erigere nuove barriere, che frenino l'eventuale ingresso di beni
provenienti da quei paesi in cui una parte importante della popolazione ha
fame; i paesi importatori debbono far sì che i benefici locali di tali
operazioni commerciali, vadano soprattutto a vantaggio dei più indigenti.
E un problema molto delicato che richiede un atteggiamento coraggioso e
preciso.
Superare il problema del debito
42. Come già precedentemente riferito, a partire dal 1985, la questione
del debito è stata gestita dalla comunità internazionale; la sua prima
preoccupazione è di evitare lo sgretolamento del sistema finanziario che
collega fra loro tutte le istituzioni finanziarie di tutti i paesi. Questo
sistema ha consentito, nelle diverse nazioni e nel corso delle varie
crisi, il consolidamento dei crediti, con il risultato di mettere sullo
stesso piano tutti i creditori di uno stesso paese. Ciò non è conforme nè
al diritto nè alla giustizia sociale. Per contro, coloro che hanno
concesso prestiti, sono stati indotti a rinunciare ad una parte —
variabile a seconda di ciascuno — dei propri crediti. E necessaria molta
equità e molta vigilanza per evitare che i paesi più coraggiosi e più
efficienti in materia di riforme vengano penalizzati rispetto ad
altri.
E evidente che il debito deve ancora diminuire in misura notevole ma,
pur dimenticando le circostanze che lo hanno provocato, è giusto che tale
contrazione debba accompagnarsi, in tutti i paesi, a riforme in grado di
evitare che si ricada in irregolarità quali: spesa pubblica eccessiva,
spesa pubblica non mirata, sviluppo privato locale senza riscontro
economico, eccessiva concorrenza tra paesi erogatori di prestiti e paesi
esportatori, il che favorisce vendite inutili o addirittura dannose. In
ogni caso va riconosciuto che un miglioramento delle condizioni dei paesi
con difficoltà di sviluppo, non sarà possibile senza una maggiore
stabilità del quadro sociale e politico-istituzionale.
Aumentare l'aiuto pubblico a favore dello sviluppo
43. Per il secondo decennio di sviluppo, il progetto dell'UNCTAD
prevedeva che l'aiuto ai paesi in via di sviluppo raggiungesse lo 0,7% del
PIL dei paesi industrializzati. Tale obbiettivo, raggiunto solo da alcuni
paesi,65 è stato recentemente rivisto al Vertice di Copenaghen.66 In media
l'aiuto ai paesi in via di sviluppo si attesta attualmente sullo 0,33% del
PIL, ovvero a meno della metà dell'obiettivo prefissato!
Il fatto che alcuni paesi riescano a raggiungere tale obiettivo ed
altri no, evidenzia come la solidarietà sia frutto della determinazione
dei popoli e degli Stati, e non il risultato di automatismi tecnici. E
raccomandabile, inoltre, serbare una quota maggiore di questo aiuto al
finanziamento di quei progetti che vengono elaborati con la partecipazione
degli stessi poveri. Poiché in democrazia i responsabili politici
dipendono dalla loro opinione pubblica, si dovrà sostenere uno sforzo di
ampio respiro affinché l'opinione pubblica acquisti più chiara coscienza
dell'importanza di questo bilancio di aiuti per lo sviluppo. « Noi tutti
siamo solidarmente responsabili delle popolazioni sottoalimentate (...)
occorre educare la coscienza al senso di responsabilità che incombe a
tutti e a ciascuno, specie ai più favoriti ».67
L'aiuto pubblico pone numerosi problemi di natura etica, sia ai paesi
donatori che a quelli destinatari. Ovunque, la moralizzazione dei circuiti
di nuova liquidità costituisce un problema difficile, e la mancanza di
etica può risultare a vantaggio di gruppi di interesse più o meno
ufficiali, negli stessi paesi esportatori. Si « congelano » in tal modo
situazioni di potere assimilabili alle « strutture di peccato », che
favoriscono ovunque il clientelismo.
Si tratta di potenti meccanismi inibitori delle vere riforme e dello
sviluppo del bene comune, che possono causare conseguenze nefaste quali,
per esempio, disordini locali e lotte inter-tribali specialmente nei paesi
più fragili in tal senso.
La lotta contro queste « strutture di peccato » è portatrice di grande
speranza per i paesi più svantaggiati.
Ripensare l'aiuto
44. Spetta ai paesi industrializzati non soltanto aumentare i loro
aiuti ai paesi in via di sviluppo, ma anche ripensare la maniera in cui
tali aiuti vengono distribuiti. Gli « aiuti vincolati » sono da criticare
se concepiti in funzione del paese erogatore o donatore, e se abbinati a
condizioni che vincolano il paese ricevente tramite, ad esempio,
l'acquisto di beni prodotti nel paese donatore, l'impiego di mano d'opera
specializzata straniera, a svantaggio della mano d'opera locale, la
conformità ai programmi di aggiustamento strutturale, ecc. D'altro canto,
si può considerare il fatto che gli aiuti non vincolati sono in grado di
produrre realmente i risultati migliori, come si è verificato in numerosi
casi. Tuttavia, conviene non scartare a priori l'eventualità di aiuti
vincolati, nella misura in cui questi siano concepiti quale mezzo per
distribuire in maniera equa i vantaggi derivanti alle varie parti in causa
o nella misura in cui consentano una gestione sana dei mezzi a
disposizione.
Gli aiuti di emergenza, una soluzione tampone
45. Gli aiuti alimentari di emergenza meritano alcune osservazioni, in
quanto oggetto di controversie basate sulla considerazione che tali aiuti
non sono in grado di agire sulle cause stesse del problema della fame.
Mezzi di azione umanitaria agli occhi di alcuni, sono considerati, al
contrario, da altri, quale leva di sviluppo e addirittura, da molti, come
arma commerciale. Si rimprovera loro, fra l'altro, di scoraggiare gli
agricoltori locali, di modificare le abitudini alimentari, di fungere da
mezzo di pressione politica a motivo della dipendenza che inducono, di
giungere troppo tardi, di favorire il sorgere di una mentalità
assistenziale e, in ultimo, di avvantaggiare i soli intermediari, di
favorire la corruzione e anche di non arrivare ai più indigenti. In alcuni
paesi vengono protratti all'infinito, non senza motivo, così da tramutarsi
in elementi strutturali. In tal caso vengono a costituire una forma di
aiuto permanente alla bilancia dei pagamenti, in quanto riducono il
deficit nazionale. Tali aiuti possono essere concessi anche quale forma di
sostegno in periodi di aggiustamento strutturale particolarmente
difficile, nel momento in cui vengono soppresse le sovvenzioni per il
consumo dei prodotti primari.
Gli aiuti alimentari di emergenza devono rimanere una soluzione
temporanea, all'unico scopo di consentire ad una popolazione di
sopravvivere ad una situazione di crisi. In quanto aiuto umanitario, non
possono essere contestati in linea di principio. In effetti, sono
unicamente le loro deviazioni a suscitare critiche: per esempio, il loro
arrivo spesso tardivo o non confacente ai bisogni, la loro distribuzione
mal organizzata o distorta dall'intervento di fattori politici, etnici o
dal clientelismo, i furti e la corruzione, che impediscono ai viveri di
giungere ai più indigenti. E piuttosto l'aiuto strutturale prolungato ad
apparire agli uni come una leva di sviluppo ed agli altri come un'arma
commerciale, un fattore di destabilizzazione della produzione e delle
abitudini alimentari, una causa di dipendenza. In realtà, può avere
effetti sia benefici che nefasti. A prescindere dal fatto che l'aiuto
consente la sopravvivenza di popolazioni intere, non bisogna passare sotto
silenzio i suoi aspetti positivi, quali la possibilità di realizzare
lavori infrastrutturali, le transazioni triangolari, la creazione di
riserve negli stessi paesi in via di sviluppo. Si tratta di un'arma a
doppio taglio, di cui tuttavia, non è possibile fare a meno.
La concertazione dell'aiuto
46. Si potrebbe ovviare ad alcune delle critiche che questi aiuti
alimentari suscitano potenziando la concertazione fra i vari partners
della catena: Stati, autorità locali, ONG, associazioni ecclesiali. Gli
aiuti potrebbero venire limitati nel tempo e meglio distribuiti alle
popolazioni con reale deficit alimentare; sarebbe anche raccomandabile che
venissero costituiti da prodotti locali ogni qual volta ciò risultasse
possibile. Gli aiuti di emergenza debbono, in primo luogo, contribuire a
liberare le popolazioni dalla loro dipendenza. A tal fine, a prescindere
dall'infrastruttura soddisfacente o meno e dalle capacità locali di
distribuzione, gli aiuti debbono accompagnarsi a progetti che mirino a
premunire le popolazioni colpite da future penurie alimentari. E in tal
modo che gli aiuti di emergenza, devoluti a determinate condizioni,
potranno considerarsi alla stregua di una incisiva azione di solidarietà
internazionale. Di fatto, questo tipo di assistenza non sarà in grado di
offrire « una soluzione soddisfacente nella misura in cui si continua a
tollerare una miseria estrema, che non cessa di aggravarsi provocando un
numero sempre maggiore di vittime della malnutrizione e della fame
».68
La sicurezza alimentare: una soluzione permanente
47. Il problema della fame non potrà risolversi se non rafforzando a
livello locale i quattro elementi costitutivi della « sicurezza alimentare
».69 « La sicurezza alimentare esiste nel momento in cui tutti gli
abitanti hanno liberamente accesso agli alimenti necessari a condurre una
vita sana ed attiva ».70 A questo scopo, è importante mettere a punto
programmi che valorizzino la produzione locale, una legislazione efficace
che protegga le terre agricole e ne assicuri l'accesso alla popolazione
rurale. La mancata realizzazione di queste misure nei paesi in via di
sviluppo è dovuta al frapporsi di numerosi ostacoli che vi si oppongono.
Infatti diviene sempre più difficile e complesso per i responsabili
politici ed economici di questi paesi mettere a punto una politica
agricola. Fra le più importanti cause del fenomeno ricordiamo la
fluttuazione dei prezzi e delle valute provocata anche dalla
sovrapproduzione di prodotti agricoli. Per garantire la sicurezza
alimentare si dovrà favorire la stabilità e l'equità del commercio
internazionale.71
Priorità alla produzione locale
48. L'importanza primaria dell'agricoltura nell'ambito di ogni processo
di sviluppo, è ormai riconosciuta. Quale che sia l'evoluzione della
congiuntura commerciale internazionale, l'indipendenza economica e
politica, ma anche la situazione alimentare dei paesi in via di sviluppo,
avrebbero molto da guadagnare dalla messa a punto di sistemi agricoli in
grado di privilegiare lo sviluppo interno, pur rimanendo aperti
all'esterno. Tutto ciò richiede la creazione di un ambiente economico e
sociale basato su una migliore conoscenza ed una migliore gestione dei
mercati agricoli locali, sul rafforzamento del credito rurale e della
formazione tecnica, sulla garanzia di prezzi locali remunerativi, su
migliori circuiti di trasformazione e di commercializzazione dei prodotti
locali, oltre che su un'effettiva concertazione fra i paesi in via di
sviluppo, un'organizzazione degli stessi lavoratori agricoli e la difesa
collettiva dei loro interessi. Sono questi altrettanti obiettivi la cui
realizzazione dipende dalla competenza come pure dalla volontà degli
uomini.
L'importanza della riforma agraria
49. La produzione alimentare locale è spesso ostacolata da una cattiva
distribuzione delle terre e dall'utilizzo irrazionale dei terreni. Oltre
la metà della popolazione dei paesi in via di sviluppo non possiede terra
e tale proporzione è in aumento.72 Anche se quasi tutti questi paesi hanno
elaborato politiche di riforma agraria, pochi sono quelli che le hanno
tradotte in pratica. Inoltre, gli spazi agricoli utilizzati dalle società
alimentari multinazionali, sono destinati a nutrire quasi esclusivamente
le popolazioni dell'emisfero Nord ed i sistemi di coltivazione adottati
tendono ad impoverire i terreni. Si fa urgente una « riforma coraggiosa
delle strutture e di nuovi modelli di rapporti fra gli Stati e le
popolazioni ».73
Ruolo della ricerca e dell'educazione
50. I doveri che incombono sui responsabili politici e finanziari sono
di primaria importanza. Tuttavia, per raccogliere la grande sfida della
fame, della malnutrizione e della povertà, ciascun uomo è chiamato ad
interrogarsi su ciò che fa e su ciò che potrebbe fare.
Sarebbero necessari a tale scopo: – l'apporto della scienza: gli
intellettuali sono invitati anch'essi a mobilitare le loro conoscenze e la
loro influenza per cercare una soluzione al problema. Le ricerche nel
settore della biotecnologia, per esempio, possono contribuire a migliorare
— sia nell'emisfero Nord che in quello Sud — la sicurezza alimentare
mondiale, le cure sanitarie o anche l'approvvigionamento di energia. Da
parte loro, le scienze umane, tramite una migliore lettura ed una più
esatta interpretazione dell'organizzazione sociale, possono meglio mettere
in luce, allo scopo di correggerli, gli squilibri dei sistemi vigenti e le
nefaste conseguenze che questi ingenerano. Possono pure contribuire alla
definizione ed alla messa a punto di nuove vie per la solidarietà fra i
popoli; – la sensibilizzazione degli individui e dei popoli: l'amore
per il prossimo è un compito affidato ai genitori, agli educatori, ai
responsabili politici, a qualsiasi livello essi operino, come pure agli
specialisti dei mezzi di comunicazione di massa che hanno una
responsabilità maggiore per far maturare la coscienza dell'umanità; –
uno sviluppo autentico in ogni paese: è necessario dare una importanza
prioritaria a quell'educazione che non si limita alla mera trasmissione
degli elementi necessari per la comunicazione o per un lavoro di utilità
personale o pubblica, ma che offre le basi per una coscienza morale. Dovrà
venire eliminata qualsiasi dicotomia fra educazione e sviluppo, due
obiettivi talmente interdipendenti, così strettamente interconnessi l'uno
all'altra, che è necessario perseguirli congiuntamente, se si vogliono
ottenere risultati durevoli. E un dovere di solidarietà quello di
consentire ad ogni uomo di beneficiare « di un'educazione che corrisponda
alla sua vocazione ».74
Gli Organismi Internazionali: Associazioni Internazionali
Cattoliche, Organizzazioni Internazionali Cattoliche
(OIC), Organizzazioni Non Governative (ONG) e reti da loro
costituite
51. Affiancandosi ad altre iniziative precedenti, alcuni organismi,
fondati anche da volontari, si sono messi da qualche decennio al servizio
degli individui e delle popolazioni in difficoltà. Questi Organismi
Internazionali spesso conosciuti con il nome di: Associazioni
Internazionali Cattoliche, Organizzazioni Internazionali Cattoliche (OIC)
ed Organizzazioni Non Governative (ONG), sono ben noti per il loro
dinamismo; il loro banco di prova sono stati la promozione dello sviluppo
integrale dei poveri e la risposta a situazioni di emergenza (carestie o
penurie). Sanno attirare l'attenzione su situazioni disperate, mobilitando
fondi privati e pubblici ed organizzando soccorsi sul posto. La maggior
parte di questi hanno perfezionato nel corso degli anni la loro lotta
contro la fame, abbinandola ad una azione di più ampio respiro a favore
dello sviluppo. Fra le loro realizzazioni più conosciute ci sono progetti
in favore di nuove iniziative adottate in loco in maniera autonoma, o
progetti tesi a rafforzare le istituzioni e le collettività locali.
Da parte sua, la Chiesa cattolica, da sempre (e dunque ben prima che le
ONG esistessero come tali) incoraggia, ispira e coordina queste forze e
questi mezzi, tramite innumerevoli associazioni parrocchiali, diocesane,
nazionali ed internazionali e tramite grandi reti.75
Intendiamo qui esprimere il nostro apprezzamento per il lavoro degli
Organismi Internazionali nel loro insieme, siano essi di ispirazione
direttamente cristiana,76 di ispirazione religiosa o di ispirazione
laica.
La duplice missione degli Organismi Internazionali
52. La missione degli Organismi Internazionali è duplice:
sensibilizzazione ed azione. Se la seconda è evidente, la prima è spesso
ignorata, anche se entrambe sono indissociabili l'una dall'altra: la
sensibilizzazione di tutti alle realtà ed alle cause del cattivo sviluppo
è fondamentale e primaria.
Da essa dipende direttamente l'indispensabile raccolta di fondi privati
da una parte, e dall'altra la presa di coscienza di un maggior numero di
persone. La costituzione di questa base popolare è necessaria per ottenere
un aumento dell'aiuto pubblico allo sviluppo e la trasformazione delle «
strutture di peccato ».
Una solidarietà fraterna
53. Gli Organismi Internazionali debbono considerare i gruppi ai quali
vengono in aiuto, quali effettivi interlocutori paritetici. E così che
nasce una solidarietà dal volto fraterno, nel dialogo, nella reciproca
fiducia, nell'ascolto rispettoso dell'altro.
In questo settore così delicato, il Papa Giovanni Paolo II ha voluto
offrire un segno del suo particolare interesse: si tratta della Fondazione
« Giovanni Paolo II per il Sahel », il cui scopo è la lotta contro la
desertificazione nei paesi del sud del Sahara, e della Fondazione «
Populorum Progressio » a favore dei più diseredati dell'America Latina,
entrambe con amministrazione autogestita dalle Chiese locali delle
rispettive regioni.77
IV IL GIUBILEO DELL'ANNO 2000 UNA TAPPA NELLA LOTTA CONTRO LA
FAME
I Giubilei: dare a Dio ciò che è di Dio
54. Nella lettera Apostolica Tertio millennio adveniente, in
vista della celebrazione del secondo millennio della nascita di Cristo, il
Papa Giovanni Paolo II ricorda l'antichissima pratica dei giubilei nel
vecchio Testamento, radicata nel concetto di anno sabbatico. L'anno
sabbatico era un tempo specificamente consacrato a Dio; secondo la legge
di Mosè veniva celebrato ogni sette anni. Prevedeva che si facesse
riposare la terra, si liberassero gli schiavi e anche si condonassero i
debiti. L'anno giubilare, che ricorreva, invece, ogni cinquanta anni,
ampliava le prescrizioni precedenti: lo schiavo israelita, in particolare,
non solo era liberato, ma rientrava in possesso della terra dei suoi avi:
« Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione
nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo: ognuno di
voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia » (Lv 25,
10).
Il fondamento teologico di questa ridistribuzione era il seguente: «
Non si poteva essere privati in modo definitivo della terra, poiché essa
apparteneva a Dio, né gli israeliti potevano rimanere per sempre in una
situazione di schiavitù, dato che Dio li aveva « riscattati » per sé, come
proprietà esclusiva, liberandoli dalla schiavitù in Egitto ».78
Ritroviamo qui l'esigenza della destinazione universale dei beni.
L'ipoteca sociale legata al diritto alla proprietà privata, si traduceva
così, periodicamente, in leggi di diritto pubblico, per ovviare alle
trasgressioni dei singoli rispetto a tale esigenza: desiderio smodato di
guadagno, profitti di dubbia provenienza e modi ben diversi di utilizzo
della proprietà, del possesso e del sapere, in aperta violazione del fatto
che i beni creati debbono servire a tutti in maniera equa.
Questo quadro giuridico, associato al giubileo ed all'anno giubilare,
preannunziava a grandi linee l'insegnamento sociale della Chiesa,
strutturatosi, in seguito, sulla base del Nuovo Testamento. Indubbiamente,
poche furono le realizzazioni concrete che accompagnarono l'ideale di
società legato all'anno giubilare. Sarebbe stato necessario un governo
equo, in grado di imporre i precetti sopra menzionati, volti a ristabilire
una certa giustizia sociale. Il magistero sociale della Chiesa,
sviluppatosi specie a partire dal XIX secolo, ha in certo modo trasformato
questi precetti in principio di eccezione, essenzialmente di competenza
dello Stato e destinato a ridare ad ogni persona la possibilità di godere
di parte dei beni della creazione. Questo principio è costantemente
ricordato e proposto a chi vuole intenderlo.
Diventare « provvidenza » per i propri fratelli
55. Fondamentalmente, la pratica dei giubilei trova il suo riferimento
nella Divina Provvidenza e nella storia della salvezza.79 Se si prende
avvio da tale origine, le realtà della fame e della malnutrizione possono
essere comprese quale conseguenza del peccato dell'uomo, come rivelato già
dai primi versetti del libro della Genesi: « Yahvè dice a Caino: "Dove è
Abele, tuo fratello?" Egli rispose "Non lo so. Sono forse il guardiano di
mio fratello?". Yahvè riprese "Che hai fatto? La voce del sangue di tuo
fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che
per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando
lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e
fuggiasco sarai sulla terra" » (Gen 4, 9-12).
L'immagine qui evocata esprime con perfetta chiarezza il rapporto che
intercorre fra il rispetto per la dignità della persona umana e la
fecondità dell'ambiente ecologico, ormai macchiato e ferito. Tale rapporto
ritorna come una eco nel corso di tutta la storia umana fino a costituire,
verosimilmente, lo sfondo teologico dei rapporti di causalità,
precedentemente analizzati a proposito della fame e della malnutrizione.
Le alee naturali, a volte così sfavorevoli, appaiono amplificate dalle
conseguenze della smisurata sete di potere e di profitto e dalle «
strutture di peccato » che ne derivano. L'uomo, voltando le spalle
all'intenzione di Dio espressa nella creazione, non riesce più a vedere se
stesso, i suoi fratelli ed il suo futuro, se non attraverso una miopia che
lo condanna all'esperienza dell'erranza che segna il genere umano: « ...
che hai fatto di tuo fratello? ».
Dignità dell'uomo e fecondità del suo lavoro
56. Dio, tuttavia, non cessa di voler restituire la creazione agli
uomini e di volerli aiutare, tramite Cristo Redentore, a coltivare ed a
custodire il giardino, (cf. Gen 2, 15-17) evitando che si tramuti
in fango ed escluda qualcuno. In questa situazione, l'intero sforzo teso a
restituire la dignità della persona umana e l'armonia fra l'uomo e la
creazione è iscritto, per la Chiesa, nel mistero della Redenzione operata
dal Cristo, rappresentato simbolicamente dall'albero della vita nel
giardino dell'Eden (cf. Gen 2, 9). Quando entra liberamente in
comunione con questo mistero, l'uomo trasforma l'erranza alla quale è
condannato in un pellegrinaggio, con luoghi e tappe della fede, ove
apprende nuovamente ad instaurare un giusto rapporto con Dio, con i suoi
simili e con tutta la creazione. Sa bene allora che tale giustificazione
nasce e si nutre della fede, della fiducia in Dio, e che spesso si attua
nell'uomo dal cuore povero. Costui diventa allora di nuovo pienamente
partecipe del compimento della creazione, resa caduca dal peccato
originale: « la creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei
figli di Dio... per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio »
(Rm 8, 19 e 21).
Il significato dell'economia umana si dispiega così nella sua pienezza:
possibilità per l'uomo e per tutti gli uomini di coltivare la terra, di
vivere « della terra... (dove cresce) quel corpo della nuova famiglia
umana, che già riesce ad offrire una certa prefigurazione del mondo a
venire ».80 La dinamica di questa economia in cammino proviene dalla
nostra adesione a questo pellegrinaggio, così che essa si « faccia carne »
nelle nostre persone. Abbandonarvisi in una progressiva incondizionalità
ci ricongiunge alla Chiesa, questo popolo di pellegrini in cammino, e la
fa procedere tutta intera verso il Regno di Dio. Spetta dunque a ciascuno
di noi, battezzato in Cristo, mostrare questa fecondità di cui la Chiesa è
depositaria e la cui missione è di restaurare la fecondità di tutta la
creazione. Di fronte alla logica delle « strutture di peccato » che
debilitano l'economia umana, siamo chiamati ad essere persone che si
lasciano interrogare intimamente da Dio ed in tal modo assumono un
atteggiamento critico nei confronti dei modelli dominanti.
In tale prospettiva, la Chiesa invita tutti gli uomini a sviluppare le
proprie conoscenze, le proprie competenze e le proprie esperienze,
ciascuno a seconda dei doni ricevuti e a seconda della propria vocazione.
Questi doni, queste vocazioni, proprie di ogni singola persona, sono
d'altronde ammirevolmente illustrate dalle tre parabole
(dell'amministratore, delle dieci vergini e dei talenti) che precedono
quella del Giudizio finale (cf. Mt 24, 45-51 e 25, 1-46) di cui si
è trattato precedentemente: la complementarità e la diversità delle
vocazioni e dei carismi orientano la risposta d'amore dell'uomo, chiamato
a divenire « provvidenza » per i suoi fratelli, « una provvidenza saggia
ed intelligente, che guida lo sviluppo dell'uomo e lo sviluppo del mondo,
in armonia con la volontà del Creatore, per il benessere della famiglia
umana ed il compimento della vocazione trascendente di ciascun individuo
».81
L'economia degradata dalla mancanza di giustizia
57. La Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente, propone
alcune iniziative molto concrete per promuovere attivamente la giustizia
sociale,82 ed in tal senso essa incoraggia a ricercare altre forme di
risposta al problema della fame e della malnutrizione, che il Giubileo
potrebbe fare proprie.
La pratica giubilare è particolarmente necessaria nell'ambito
dell'economia che, lasciata a se stessa, diventa di fatto anemica, in
quanto non attua più la giustizia. Ogni crisi economica, il cui effetto
estremo è la penuria alimentare, si configura fondamentalmente quale crisi
di giustizia, che non viene più realizzata.83
Il popolo eletto del Vecchio Testamento lo aveva già capito ed ora sta
a noi attualizzarlo. Questa crisi va analizzata oggi nel contesto del
libero mercato: all'interno di ogni singolo paese, come pure nei rapporti
internazionali, il libero mercato può costituire uno strumento appropriato
per la distribuzione delle risorse e per un'efficace risposta ai
bisogni.84 La realizzazione della giustizia sociale stabilizza lo scambio
commerciale: ciascuno ha diritto di parteciparvi, pur correndo il rischio
di cadere in un neo maltusianismo economico, che si limiterebbe ad una
visione stereotipa della solvibilità e dell'efficacia.
Stabilito ciò, si deve constatare che la giustizia ed il mercato sono
spesso analizzati come due realtà antinomiche, il che implica che la
persona umana si sente libera da qualsiasi responsabilità in ordine alla
giustizia sociale. L'esigenza di equità, di conseguenza, non è più di
competenza dell'individuo, che soggiace con rassegnazione alle leggi del
mercato: essa viene trasferita allo Stato e, più precisamente, allo
Stato-provvidenza.
In linea di massima, le filosofie morali diffuse oggi sono ampiamente
responsabili dello spostamento d'accento nella riflessione: si è passati
dal campo del comportamento giusto, a quello della giustizia delle
strutture e delle procedure, una costruzione teorica praticamente
irrealizzabile. D'altronde, questa provvidenza dello Stato, ad intra ed ad
extra, risulta oggi ben logora, sempre meno garante di una vera giustizia
distributiva, essa stessa nociva all'efficienza delle economie nazionali.
Non costituisce tutto ciò argomento di riflessione in merito al rapporto
fra carenza di contributi individuali alla realizzazione di una giustizia
sociale e di una sobrietà dei nostri comportamenti economici da un lato e,
dall'altro, crescente inefficacia dei meccanismi di ridistribuzione, che
si ripercuote a sua volta sull'efficacia globale della nostra
economia?
Equità e giustizia nell'economia
58. Per poter offrire una risposta a questa antinomia fra mercato e
giustizia, l'insegnamento sociale della Chiesa cerca di approfondire la
nozione di prezzo equo, ripresa dal pensiero scolastico, riferendola non
soltanto al criterio di giustizia commutativa, ma ampliandola a quello di
giustizia sociale, ovvero all'insieme dei diritti e dei doveri della
persona umana. La realizzazione di tale giustizia sociale, basata sulla
equità dei prezzi, presuppone una duplice conformità: conformità del
contesto giuridico, che delimita il mercato con la legge morale;
conformità dei molteplici atti economici individuali, che stabiliscono il
prezzo del mercato e la stessa legge morale.
Una responsabilità personale che si limiti alla sola legge civile è
insufficiente, in quanto questa implica, in svariati casi, « l'abdicazione
della sua coscienza morale ».85 Come il prezzo sul mercato deriva dalla
molteplicità dei valori d'uso attribuitigli dai consumatori, così sarà la
nostra condotta morale, arbitro dei valori d'uso attribuiti, che farà
convergere o meno il prezzo del mercato verso il prezzo equo. Nel momento
in cui gli agenti economici non integrano le loro scelte economiche con il
dovere di giustizia sociale, il meccanismo di mercato dissocierà il prezzo
concorrenziale dal prezzo equo.
Nella preparazione al Giubileo dell'anno 2000, siamo tutti invitati a
incarnare la legge morale nella quotidianità dei nostri « atti economici
».86 Ne deriva che il carattere equo o non equo del prezzo è in qualche
modo « nelle nostre mani », in quelle del produttore e dell'investitore,
in quelle dei consumatori, come in quelle di coloro che gestiscono il
potere pubblico a livello decisionale.
Ciò non comporta che lo Stato e la comunità degli Stati siano
dispensati dall'esercitare una tutela in grado, fra l'altro, di sopperire,
se pur in maniera imperfetta, alla carenza del dovere individuale di
giustizia sociale, a questa assenza di conformità alla legge morale che
incombe a ciascuno. Il bene comune, che costituisce un obiettivo politico,
prevale sulla mera giustizia commutativa degli scambi.
Ispirare nuove proposte giubilari
59. L'appello di Dio trasmesso dalla sua Chiesa, è chiaramente un
appello alla condivisione, alla carità attiva e fattiva, rivolto non solo
ai cristiani, ma a tutti gli uomini di buona volontà ed a tutti gli uomini
capaci di buona volontà, ovvero a tutti gli uomini, senza eccezione
alcuna. La Chiesa si pone in tal modo alla guida di quei movimenti che,
avendo a cuore la persona umana in generale e ogni uomo in particolare,
promuovono l'amore solidale. Presente ed attiva a fianco di tutti coloro
che si adoperano nell'azione umanitaria per rispondere ai bisogni ed ai
diritti più fondamentali dei loro fratelli, la Chiesa ricorda
costantemente che la « soluzione » della questione sociale necessita della
collaborazione di tutte le forze.87
Ogni persona di buona volontà, in effetti, può percepire i risvolti
etici connessi al divenire dell'economia mondiale: combattere la fame e la
malnutrizione, contribuire alla sicurezza alimentare e ad uno sviluppo
agricolo endogeno dei paesi in via di sviluppo, valorizzarne le loro
potenzialità di esportazione, preservare le risorse naturali d'interesse
planetario... L'insegnamento sociale della Chiesa vi scorge altrettanti
elementi costitutivi del bene comune universale, che le nazioni
industrializzate debbono riconoscere e promuovere. Parimenti, questi
dovrebbero costituire l'obiettivo essenziale delle organizzazioni
economiche internazionali e l'effettiva posta in gioco per la
mondializzazione degli scambi. Questo bene comune universale — una volta
riconosciuto — dovrebbe ispirare un rafforzamento del quadro giuridico
istituzionale e politico che regoli gli scambi commerciali internazionali,
e contemporaneamente ispirare nuove proposte giubilari. Ciò richiederà
coraggio da parte dei responsabili delle istituzioni sociali, governative,
sindacali, tanto difficile è divenuto oggigiorno inserire gli interessi di
ciascuno all'interno di una visione coerente del bene comune.
In merito, la Chiesa non ha per sua missione quella di proporre
soluzioni tecniche, ma coglie l'occasione di questa preparazione al grande
Giubileo per lanciare un vasto appello per proposte e suggerimenti capaci
di accelerare lo sradicamento della fame e della malnutrizione.
Fra queste proposte, due sono particolarmente importanti:
a) La costituzione di scorte alimentari di sicurezza —
sull'esempio di Giuseppe in Egitto (cf. Gen 41, 35) — che
consentano di offrire in caso di crisi momentanea, un'assistenza concreta
alle popolazioni colpite da calamità. I meccanismi per la costituzione e
la gestione di queste scorte dovrebbero essere concepiti in maniera tale
da evitare qualsiasi tentazione burocratica, atta a prestare il fianco a
lotte di influenza politica o economica da una parte, o alla corruzione
dall'altra, e in grado di evitare una qualsiasi manipolazione diretta o
indiretta dei mercati.
b) La promozione di orti familiari, specie in quelle regioni in
cui la povertà priva le persone, in particolar modo i capi famiglia ed i
loro cari, del pur minimo accesso all'utilizzo della terra come pure
all'alimentazione di base, sulla scia di quanto il Papa Leone XIII
invocava, per le stesse ragioni, a favore degli operai del XIX secolo: «
(l'uomo) giunge a mettere tutto il suo cuore nella terra che lui stesso ha
coltivato, che promette, a lui ed ai suoi, non soltanto lo stretto
necessario, ma anche una certa agiatezza.... ».88
Nella maggior parte delle aree del mondo, è necessario prevedere ed
adottare iniziative atte a fornire ai più poveri la disponibilità di un
angolo di terra, le nozioni necessarie e anche un minimo di attrezzi
agricoli strumenti, consentendo in tal modo di compiere passi rilevanti
per uscire da situazioni di miseria estrema.
In ultimo, ed in una prospettiva più ampia, si raccoglieranno
testimonianze e studi basati sull'esperienza e sull'osservazione in
contesti specifici, per tentare di costituire una banca dati che illustri
in termini pratici, da tutte le angolazioni, le reali situazioni di «
strutture di peccato » e di « strutture di bene comune ».89
V LA FAME: UN APPELLO ALL'AMORE
Il povero ci chiama all'amore
60. In tutti i paesi del mondo, l'esperienza della vita quotidiana ci
sollecita — se non chiudiamo gli occhi — a incrociare lo sguardo di coloro
che hanno fame. In questo sguardo, è « la voce del sangue di tuo fratello
che grida a me dal suolo » (Gen 4, 10).
Sappiamo che è Dio stesso che ci chiama in colui che ha fame. La
sentenza del Giudice universale condanna senza alcuna clemenza: « ... Via,
lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato per il Diavolo ed il
suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare... »
(Mt 25, 41 ss).
Queste parole che salgono dal cuore di Dio fattosi uomo, ci fanno
comprendere il significato profondo del soddisfacimento dei bisogni
elementari di ogni uomo agli occhi del suo Creatore: non abbandonate colui
che è fatto ad immagine di Dio, voi abbandonereste il Signore stesso. E
Dio stesso che ha fame e che ci chiama nel gemito di colui che ha fame.
Discepolo del Dio che si rivela, il cristiano è sollecitato ad ascoltare,
se così si può dire, l'appello del povero. E infatti un appello
all'amore.
La povertà di Dio
61. Secondo gli autori dei salmi, i canti del Vecchio Testamento, « i
poveri » si identificano con i « giusti », con coloro « che cercano Dio »,
« che lo temono », che « hanno fiducia in lui », che « sono benedetti »,
che « sono i suoi servitori » e « conoscono il suo nome ».
Come riflessa in uno specchio concavo, tutta la luce degli « ANAWIM »,
i poveri della prima Alleanza, converge verso la donna che costituisce la
cerniera fra i due Testamenti: in Maria riluce tutta la dedizione a Yahvè
e tutta l'esperienza che guida il popolo di Israele, e si incarna nella
persona di Gesù Cristo. Il « Magnificat » è la lode che gli rende
testimonianza: l'inno dei poveri la cui ricchezza è tutta in Dio (cf.
Lc 1, 46 ss).
Questo canto si apre con un'esplosione di gioia che esprime un'immensa
gratitudine: « L'anima mia magnifica il Signore ed il mio spirito esulta
in Dio mio salvatore ». Ma non sono le ricchezze o il potere che fanno
esultare Maria: infatti, ella si vede piuttosto « piccola, insignificante
e umile ». Questa idea di base ispira tutta la sua lode e si oppone
radicalmente a coloro che mirano a soddisfare la loro sete d'orgoglio, di
potere e di ricchezza. Chi si atteggia in tal modo sarà « disperso », «
rovesciato dal suo trono », « rinviato a mani vuote ».
Gesù stesso riprende questo insegnamento di sua Madre nel suo discorso
evangelico sulle Beatitudini, che iniziano — e non a caso — con
l'espressione « beati i poveri ». Le sue parole indicano in cosa consista
l'uomo nuovo, in opposizione alle « ricchezze » che costituiscono
l'oggetto delle sue critiche.
E ai poveri che si indirizza la sua Buona Novella (cf. Lc 4,
18). L'« inganno delle ricchezze », al contrario, allontana dalla sequela
di Cristo (cf. Mc 4, 19). Non si possono servire due padroni, Dio e
Mammona (cf. Mt 6, 24). La preoccupazione per il domani è indice di
mentalità pagana (cf. Mt 6, 32). Per il Signore non si tratta di
belle parole; infatti ne dà testimonianza con la propria vita: « Ma il
figlio dell'uomo, lui, non ha ove posare il capo » (Mt 8, 20).
La Chiesa è con i poveri
62. Il precetto biblico non va né falsato né taciuto: è in
controtendenza con lo spirito del mondo e con la nostra sensibilità
naturale. La nostra natura e la nostra cultura sono turbate davanti alla
povertà.
La povertà evangelica è a volte oggetto di commenti cinici da parte
degli indigenti, come pure da parte dei benestanti. I cristiani sono
accusati di voler perpetuare la povertà. Un tale disprezzo della povertà
sarebbe propriamente diabolico. Il segno di Satana (cf. Mt 4) è
quello di opporsi alla volontà di Dio facendo riferimento alla sua
Parola.
Un discorso del Papa Giovanni Paolo II può aiutarci ad evitare di
giungere a tale conclusione, che ci permetterebbe di giustificare il
nostro egoismo. In occasione della sua visita alla favela del Lixão de São
Pedro, in Brasile, il 19 ottobre 1991, il Santo Padre, riflettendo sulla
prima beatitudine del Vangelo di San Matteo, illustrò il nesso fra povertà
e fiducia in Dio, fra beatitudine ed abbandono totale al Creatore. E
dichiarava: « Ma esiste un'altra povertà, molto diversa da quella che
Cristo proclamava beata, e che colpisce una moltitudine di nostri
fratelli, impedendone lo sviluppo integrale in quanto persone. Di fronte a
questa povertà, che è carenza e privazione dei beni materiali necessari,
la Chiesa fa sentire la sua voce... E per ciò che la Chiesa sa che ogni
trasformazione sociale deve necessariamente passare per una conversione
dei cuori e prega a tal fine. Questa è la prima e la principale missione
della Chiesa ».90
Come già affermato, l'appello di Dio, di cui la sua Chiesa si fa eco,
evidentemente è un richiamo alla condivisione, alla carità attiva e
concreta che si indirizza non solo ai cristiani, ma a tutti gli uomini.
Come sempre, e oggi più che mai, la Chiesa è vicina a tutti coloro che
svolgono un'azione umanitaria a servizio dei loro fratelli, per la
soddisfazione dei loro bisogni e per la difesa dei loro diritti
fondamentali.
Il contributo della Chiesa allo sviluppo della persona e dei popoli,
non si limita unicamente alla lotta contro la miseria e il sottosviluppo.
Esiste una povertà provocata dal convincimento che basti proseguire sulla
via del progresso tecnico ed economico per rendere ogni uomo più degno di
tale nome. Ma all'uomo non può bastare uno sviluppo senz'anima, e
l'eccesso di opulenza risulta a suo danno, al pari dell'eccesso di
povertà. E il « modello di sviluppo » creato dall'emisfero settentrionale
e che questo diffonde nell'emisfero meridionale, ove il senso religioso ed
i valori umani ivi presenti, rischiano di essere spazzati via
dall'invasione di un consumismo fine a se stesso.
Il povero ed il ricco sono entrambi chiamati alla
libertà
63. Dio non vuole la povertà del suo popolo, cioè di tutti gli uomini,
poiché Egli nel grido di ciascuno di essi rivolge a noi una chiamata. Ci
dice semplicemente che il povero, al pari del ricco accecato dalla sua
ricchezza, sono entrambi uomini mutilati: il primo, per circostanze che lo
oltrepassano suo malgrado, il secondo, a motivo delle sue stesse mani,
troppo piene, e con la sua stessa complicità. Così ambedue si trovano
ostacolati ad accedere alla libertà interiore alla quale Dio non cessa di
chiamare tutti gli uomini.
Il povero « colmo di ricchezze » non troverà in questo un'egoistica
rivalsa sulla cattiva sorte, bensì una condizione che gli consentirà
infine di non vedere limitate le sue capacità fondamentali. Il ricco, «
rimandato a mani vuote », non è punito per essere ricco, ma è liberato
dalla pesantezza e dall'opacità inerenti al suo attaccamento troppo
esclusivo ai beni, di qualsiasi natura essi siano. Il canto del Magnificat
non è una condanna, ma un appello alla libertà e all'amore.
In questo processo di duplice guarigione, il povero è chiamato a sanare
il suo cuore ferito da un'ingiustizia che può condurlo fino all'odio per
se stesso e per gli altri. Il ricco è chiamato ad abbandonare il suo
fardello di paccottiglie, lui che si tappa gli occhi e le orecchie e
nasconde le profondità del suo cuore sotto le coltri delle sue povere
ricchezze: denaro, potere, immagine e piaceri di ogni tipo, che riducono
la percezione che ha nei confronti di se stesso e degli altri, e che, nel
mentre aumentano i suoi beni, fanno crescere i suoi desideri.
La necessaria conversione del cuore dell'uomo
64. La fame nel mondo fa toccare con mano le debolezze degli uomini, a
tutti i livelli: la logica del peccato evidenzia come il peccato stesso,
questo male del cuore dell'uomo, è all'origine delle miserie della
società, attraverso il meccanismo, se così si può dire, delle « strutture
di peccato ». Per la Chiesa, sono l'egoismo colpevole, la ricerca ad ogni
costo del denaro, del potere e della gloria, che rimettono in questione lo
stesso valore del progresso in quanto tale. « Infatti, sconvolto l'ordine
dei valori e mescolando il male col bene, gli individui ed i gruppi
guardano solamente alle cose proprie, non a quelle degli altri; e così il
mondo cessa di essere il campo di una genuina fraternità, mentre invece
l'aumento della potenza umana minaccia di distruggere ormai lo stesso
genere umano ».91, legata alla nozione di "progresso", dalle connotazioni
filosofiche di tipo illuministico... Ad un ingenuo ottimismo
meccanicistico, è subentrata una fondata inquietudine per il destino
dell'umanità... Oggi si comprende meglio che la pura accumulazione di beni
e servizi, anche a favore della maggioranza, non basta a realizzare la
felicità degli uomini », l. c., pp. 547-550.]
Per contro, l'amore che si instaura nel cuore dell'uomo, gli consente
di superare i propri limiti e di agire nel mondo, creando « strutture del
bene comune »: queste favoriscono il cammino verso la « civiltà dell'amore
»92 per coloro che sono ad esse più sensibili, i quali vi trascinano anche
gli altri.
L'uomo è così chiamato a riformare il suo agire; la posta in gioco è di
vitale importanza per il mondo. Egli è condotto a riformare il suo cuore,
con un movimento del suo essere teso all'unificazione di sé e della
comunità umana nell'amore. Questa riforma dell'uomo nella sua totalità, è
radicale per profondità e conseguenze, in quanto l'amore è radicale per la
sua stessa essenza; non accetta divisioni, abbraccia tutti gli impulsi
della persona, le sue azioni al pari della sua preghiera, i suoi mezzi
materiali al pari delle sue ricchezze spirituali.
La conversione del cuore degli uomini, di ciascuno e di tutti insieme,
è la proposta di Dio che può cambiare profondamente la faccia della terra,
cancellarne gli orrendi tratti della fame che sfigurano parte del suo
volto. « ... Convertitevi e credete al Vangelo » (Mc 1, 15) è
l'imperativo che accompagna l'annuncio del Regno di Dio e che realizza la
sua venuta. La Chiesa sa che questo mutamento intimo e profondo, spingerà
l'uomo nella sua vita di tutti i giorni a guardare oltre il suo immediato
interesse, a mutare man mano la sua maniera di pensare, di lavorare, di
vivere, per apprendere in tal modo, nel quotidiano, ad amare nel pieno
esercizio delle sue facoltà, nel mondo così come è.
Per quanto poco ci prestiamo a ciò, Dio stesso se ne prenderà cura.
« Diffidate degli idoli »
65. Ecco la promessa che ci fa il Signore : « Vi aspergerò con acqua
pura e sarete purificati: io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e
da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi
uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore
di carne » (Ez 36, 25-27).
Che questo magnifico linguaggio biblico non ci tragga in errore! Non si
tratta qui di un appello ai buoni sentimenti, per arrivare ad una semplice
condivisione materiale, per quanto valida ed efficace possa essere. Si
tratta della proposta più impegnativa che ci possa essere, quella di Dio
stesso, che viene ad offrire a ciascuno di noi un cammino di liberazione
dai nostri idoli ed ad insegnarci ad amare. Questo impegna tutto il nostro
essere, che si trova così riunificato. Allora, potremo vincere le nostre
paure ed i nostri egoismi per essere attenti ai nostri fratelli e
servirli.
I nostri idoli ci insidiano da molto vicino; sono la nostra ricerca,
individuale e comunitaria, di ricchi o di poveri, dei beni materiali, del
potere, della reputazione, del piacere, considerati come fini a se stessi.
Servire questi idoli rende schiavo l'uomo e povero il pianeta (cf. n. 25).
L'ingiustizia profonda subita da colui che non dispone del necessario,
risiede precisamente nel fatto che egli è obbligato, spinto dalla
necessità, a ricercare innanzitutto questi beni materiali.
Il cuore del povero Lazzaro è più libero di quello del ricco malvagio e
Dio, attraverso la voce di Abramo, non chiede soltanto al ricco di
condividere la mensa con Lazzaro, ma gli chiede di cambiare il suo cuore,
di accettare la legge dell'amore per diventare suo fratello (cf. Lc
16, 19 ss.).
E liberandoci dai nostri idoli che Dio consentirà non solo che il
nostro lavoro trasformi il mondo, accrescendo i diversi tipi di ricchezza,
ma soprattutto farà in modo che il lavoro stesso venga inteso come
servizio a tutti gli uomini. Il mondo, allora, potrà ritrovare la sua
bellezza originale, che non è unicamente quella della natura il giorno
della Creazione, ma quella del giardino mirabilmente lavorato e reso
fertile dall'uomo, al servizio dei suoi fratelli, alla presenza amorevole
di Dio e per amore suo.
« "Contro la fame cambia la vita", è il motto nato in ambienti
ecclesiali e che indica ai popoli ricchi la via per diventare fratelli dei
poveri... »93
L'attenzione al povero...
66. Il cristiano, là dove Dio lo ha posto nel mondo, risponderà
all'appello di colui che ha fame ponendosi seriamente delle domande circa
la propria stessa vita. L'appello di colui che ha fame spinge l'uomo a
interrogarsi sul senso e sul valore della sua attività quotidiana.
Cercherà di vedere le conseguenze, prossime ed a volte più remote, del suo
lavoro professionale, volontario, artigianale, domestico. Misurerà la
ricaduta, molto più concreta e più ampia di quanto potesse ritenerla, dei
suoi atti, anche di quelli più ordinari, e dunque della sua effettiva
responsabilità. Esaminerà la gestione del suo tempo, che nel mondo
attuale, per difetto o per eccesso, provoca tante sofferenze; per esempio,
nel caso della disoccupazione, può diventare un fattore altamente
distruttivo. Aprirà gli occhi della mente e del cuore e, se saprà cogliere
l'invito rivolto da Dio a tutti gli uomini, si porrà con regolarità,
discrezione ed umiltà all'ascolto e al servizio di chi è nel bisogno. E
questo un richiamo rivolto in particolar modo a coloro che il linguaggio
corrente definisce « i responsabili ».
San Paolo ribadisce, e non a caso, che « Gesù Cristo..... da ricco che
era si è fatto povero per voi » (2 Cor 8, 9). In effetti, Egli
voleva renderci ricchi con la sua povertà e con l'amore che noi dobbiamo
avere nei confronti del povero.
... nell'ascolto di Dio
67. L'ascolto di Dio presente nel povero, aprirà il cuore dell'uomo e
lo solleciterà a cercare un incontro personale sempre nuovo con Dio.
Questo incontro che Dio stesso vuole, Lui che non cessa di cercare ogni
uomo e tutto l'uomo, proseguirà nel cammino quotidiano che trasforma
progressivamente la vita di colui che accetta « di aprire la porta » a Dio
medesimo che umilmente bussa (cf. Ap 3, 20).
L'ascolto di Dio richiede del tempo, con Dio e per Dio. E la preghiera
personale: essa sola consente all'uomo di mutare il proprio cuore e, di
conseguenza, il proprio agire. Il tempo dedicato a Dio non è tolto
ai poveri. Una vita spirituale forte ed equilibrata non ha mai distolto
alcuno dal servizio dei suoi fratelli. E se San Vincenzo de' Paoli (,
1660), famoso per il suo impegno in favore dei diseredati, diceva: «
Lascia la tua preghiera se tuo fratello ti chiede una tazza di tisana »,
non bisogna scordarsi che il santo pregava circa sette ore al giorno e
trovava nella preghiera il sostegno al suo agire.
Cambiare vita...
68. L'uomo che è all'ascolto di suo fratello e che si apre alla
presenza ed all'azione di Dio, rimetterà progressivamente in discussione
le sue abitudini di vita. La corsa all'abbondanza, alla quale partecipa un
numero sempre crescente di individui, spesso in mezzo ad una crescente
miseria, cederà progressivamente il passo ad una maggiore semplicità di
vita che in molti paesi è già dimenticata, ma che ridiventerà possibile ed
anche auspicabile, nel momento in cui il consumatore nelle sue scelte
cesserà di preoccuparsi dell'apparire.
Infine, l'uomo, che così accetta di mutare il suo modo di vivere per
cercare di conformarsi a quello che Dio stesso ci ha mostrato nelle parole
di Cristo, e che riflette sulle conseguenze della sua attività — quale che
essa in apparenza sia, importante o insignificante — si metterà in tal
modo al servizio del bene comune, della promozione integrale di tutti gli
uomini e di ogni singolo uomo.
...per cambiare la vita
69. Liberato progressivamente delle sue paure e delle sue ambizioni
puramente materiali, illuminato sulle possibili conseguenze dei suoi
propri atti, quale che sia il suo ruolo, l'uomo, che così accoglie la
presenza di Dio in tutti gli aspetti della sua vita, diventerà un
operatore della civiltà dell'amore. Discretamente, in profondità, il suo
lavoro assumerà il carattere di una missione, nella quale si farà obbligo
di esercitare e sviluppare i suoi talenti, di contribuire alla riforma
delle strutture e delle istituzioni, di avere un comportamento esemplare,
che inciterà il suo prossimo ad agire parimenti, e di porsi al servizio
della dignità dell'uomo e del bene comune.
Le circostanze della vita fanno sì che un tale approccio al lavoro
venga considerato impossibile. Ma l'esperienza dimostra che anche in
situazioni apparentemente senza via d'uscita, ciascuno ha sempre un seppur
piccolo margine di manovra, e che le sue scelte hanno un'importanza
concreta, sia per i suoi simili sul posto di lavoro, come pure per il bene
comune. Ciascuno, in un certo senso, è responsabile degli altri.94 E
unodei segnali dell'appello all'amore che Dio non cessa di far
riecheggiare. In circostanze a volte difficili, che possono addirittura
provocare sofferenze prossime alla testimonianza-martirio, ciascuno deve
trovare sostegno nella forza di Dio, che ci promette il suo aiuto se noi
lo poniamo al centro della nostra vita, compresa quella attiva.
« Coraggio, popolo tutto del paese, al lavoro, perché io sono con
voi... ed il mio Spirito sarà con voi, non temete » (Ag 2, 4-5). Il
cristiano lotta contro le « strutture di peccato » e si fa addirittura
strumento della loro distruzione. Pratiche tanto deleterie sul piano dello
sviluppo economico e sociale saranno allora meno diffuse. Nelle regioni
ove i cristiani, con coraggio e determinazione, coinvolgeranno uomini di
buona volontà, la miseria potrà cessare di progredire, le abitudini di
consumo potranno mutare, potranno realizzarsi riforme, la solidarietà
svilupparsi e la fame arretrare.
Sostenere le iniziative
70. In prima fila tra questi cristiani figurano i religiosi e i
ministri ordinati, chiamati a dare la loro vita per Dio e per i propri
fratelli.
Per tutto il corso della storia della Chiesa, dai diaconi degli Atti
degli Apostoli (cf. At 6, 1 ss), fino ad oggi, vi sono stati uomini
e donne straordinari,95 ordini religiosi e missionari, associazioni di
cristiani laici, istituzioni ed iniziative ecclesiali, che hanno cercato
di aiutare i poveri e gli affamati. Hanno combattuto la sofferenza e la
miseria sotto tutte le loro forme, in obbedienza a Cristo.
La Chiesa ringrazia tutti coloro che attualmente prestano questi
servizi sotto forma di azioni concrete in favore del prossimo, nelle
diocesi, nelle parrocchie, presso le organizzazioni missionarie, le
organizzazioni caritatevoli e le altre ONG. Essi trasmettono l'amore di
Dio e mostrano l'autenticità del Vangelo.
La Chiesa cattolica è presente in tutti i continenti con circa 2700
diocesi o circoscrizioni molto diverse fra loro,96 molte delle quali
impegnate già da tempo nell'azione contro la fame e la povertà. Le diocesi
e le parrocchie sono luoghi privilegiati di discernimento in ordine a ciò
che i cristiani possono fare. In tali contesti, facilitano
l'organizzazione di gruppi a livello popolare, di gruppi locali e di
comunità. Comunità di accoglienza a misura d'uomo possono ridare fiducia,
aiutare ad organizzarsi, a meglio vivere, ad uscire dalla rassegnazione e
dall'annientamento. Il Vangelo ridiventa così speranza per i poveri, in un
crogiuolo ove la forza di Cristo si coniuga con quella dei diseredati.
Ciascuno è chiamato a partecipare a questa azione. Ciascuno, a seconda
delle sue condizioni di vita, della sua posizione nel mondo e nel suo
ambiente circostante, deve tradurre in azioni questo appello all'amore che
Dio ci trasmette tramite la presenza dei nostri fratelli che hanno fame.
La meravigliosa varietà umana, nella diversità delle culture, comporta una
molteplicità di impegni e missioni.
E il caso, dunque, che ogni cristiano favorisca le diverse iniziative
locali. La Chiesa cattolica è consapevole di condividere questo impegno
con le altre chiese cristiane e con le altre comunità religiose, come pure
con tutti gli uomini di buona volontà. Le azioni a carattere umanitario
sono un importante campo di azione per il cristiano, che dovrà tuttavia
contribuirvi in maniera particolare affinché gli scopi dell'associazione e
della sua azione rimangano centrati al servizio integrale dell'uomo, senza
escludere la sua dimensione spirituale. In tal modo egli sarà un baluardo
contro coloro che potrebbero tentare di sviare il dinamismo
dell'associazione verso obiettivi politici ispirati al materialismo e ad
ideologie che, in ultima analisi, sono sempre distruttive dell'uomo.
La chiamata alla missione nella quotidianità di ogni
cristiano
71. Il cristiano è al servizio dei suoi fratelli, in tutti i campi
della sua attività e della sua vita. L'amore operoso è un appello rivolto
a tutti i cristiani nel loro lavoro quotidiano, come pure nelle loro
iniziative personali. L'impegno del cristiano, al pari delle sue azioni
umanitarie e caritative, proviene dalla stessa chiamata alla missione.
Nella loro attività professionale, come pure in quella di volontariato
o nel lavoro domestico, spesso notevole, l'uomo e la donna sono chiamati a
vivere la stessa missione, quella di annunciare e servire la Buona Novella
nelle gioie e nelle sofferenze quotidiane e in ogni situazione. La qualità
del proprio lavoro, la partecipazione a riforme giuste, l'esempio umile
nel comportamento, l'attenzione agli altri, sempre presente anche al di là
dei legittimi obiettivi personali ed istituzionali, tutto ciò è un
bagaglio quotidiano per l'uomo e la donna che cercano di offrire a Dio, in
tutti gli aspetti della loro vita, la possibilità di avvicinarsi loro e di
far crescere il mondo intero nel Suo amore. Saranno allora vieppiù capaci
di lottare contro gli sprechi e le ingiustizie e di offrire le loro
sofferenze e le loro gioie a Cristo Salvatore, che dà loro il suo Spirito
nella vita di ogni giorno.
Il cristiano cercherà di affidare tutte le proprie azioni nelle mani di
Colui che parla direttamente al nostro cuore per bocca di ogni povero. Il
cristiano, trascinatore di uomini di buona volontà, con i quali condivide
i valori umani fondamentali, dovrà vigilare a che il suo agire personale e
quello dei suoi fratelli cristiani, rimanga ispirato alla Parola di Dio e
radicato nella vita divina, in unione con la Chiesa e con i suoi pastori.
La comunione nell'azione deve essere comunione con il Signore, che
veglierà egli stesso affinché tale azione sia pensata e realizzata nello
Spirito Santo e non perda la sua qualità di missione dalla radice divina,
missione nella quale il Servo dell'Uomo è cercato in modo personale quale
fonte, forza e fine dello stesso agire.
Il cristiano troverà il suo continuo sostegno nella preghiera alla
beata Vergine Maria, orante ed agente in uno stesso movimento di servizio
incondizionato a Dio ed agli uomini. La Madre di Dio supplicherà lo
Spirito Santo di effondersi nell'intelligenza e nel cuore del cristiano,
che diventerà in tal modo, nel suo agire, un collaboratore libero,
responsabile e fiducioso, in una azione che testimonierà l'amore di Dio e
avrà fin d'ora il suo peso di eternità.
Città del Vaticano, Palazzo San Calisto, 4 ottobre 1996, Festa di
San Francesco d'Assisi.
Paul Josef Cordes Arcivescovo titolare di
Naisso Presidente Pontificio Consiglio « Cor Unum »
Mons. Iván MarIn Segretario Pontificio Consiglio
« Cor Unum »
INDICE
Presentazione
Introduzione [nn. 1-3]
I LA REALTA DELLA FAME
La sfida della fame [n. 4]
Uno scandalo durato troppo a lungo: la fame distrugge la vita [n. 5]
La malnutrizione compromette il presente ed il futuro di un popolo [n.
6]
Le principali vittime: le popolazioni più vulnerabili [n. 7]
La fame genera la fame [n. 8]
Cause individuabili [n. 9]
A) Cause economiche
Le cause profonde [n. 10]
Il debito dei paesi con difficoltà di sviluppo [n. 11]
I programmi di aggiustamento strutturale [n. 12]
B) Le cause socio-culturali
Le realtà sociali [n. 13]
La demografia [n. 14]
Le sue implicazioni [n. 15]
C) Le cause politiche
L'influenza della politica [n. 16]
La concentrazione dei mezzi [n. 17]
Le destrutturazioni economiche e sociali [n. 18]
D) La terra può nutrire i suoi abitanti
I notevoli progressi dell'umanità [n. 19]
I mercati agro-alimentari [n. 20]
L'agricoltura moderna [n. 21]
II SFIDE DI NATURA ETICA DA AFFRONTARE INSIEME
La dimensione etica del fenomeno [n. 22]
L'amore del prossimo per raggiungere lo sviluppo [n. 23]
La giustizia sociale e la destinazione universale dei beni [n. 24]
Le costose deviazioni dal bene comune: le « strutture di peccato »[n.
25]
All'ascolto preferenziale dei poveri ed al loro servizio: la
condivisione [n. 26]
Una società integrata [n. 27]
La pace, un equilibrio di diritti [n. 28]
Il disarmo, un'urgenza da cogliere [n. 29]
Rispetto dell'ambiente [n. 30]
Ecologia e sviluppo equo [n. 31]
Cogliere insieme la sfida [n. 32]
Riconoscere il contributo dei poveri alla democrazia [n. 33]
Le iniziative comunitarie [n. 34]
L'accesso al credito [n. 35]
Il ruolo fondamentale delle donne [n. 36]
Integrità e senso sociale [n. 37]
III VERSO UN'ECONOMIA PIU SOLIDALE
Per meglio servire l'uomo e tutti gli uomini [n. 38]
Far convergere l'azione di tutti [n. 39]
La volontà politica dei paesi industrializzati [n. 40]
Stabilire equamente le condizioni di scambio [n. 41]
Superare il problema del debito [n. 42]
Aumentare l'aiuto pubblico a favore dello sviluppo [n. 43]
Ripensare l'aiuto [n. 44]
Gli aiuti di emergenza, una soluzione tampone [n. 45]
La concertazione dell'aiuto [n. 46]
La sicurezza alimentare: una soluzione permanente [n. 47]
Priorità alla produzione locale [n. 48]
L'importanza della riforma agraria [n. 49]
Ruolo della ricerca e dell'educazione [n. 50]
Gli organismi internazionali: Associazioni Internazionali Cattoliche,
Organizzazioni Internazionali Cattoliche (OIC), Organizzazioni non
governative(ONG) e reti da loro costituite [n. 51]
La duplice missione degli Organismi Internazionali [n. 52]
Una solidarietà fraterna [n. 53]
IV IL GIUBILEO DELL'ANNO 2000 UNA TAPPA NELLA LOTTA CONTRO LA
FAME
I Giubilei: dare a Dio ciò che è di Dio [n. 54]
Diventare « provvidenza » per i propri fratelli [n. 55]
Dignità dell'uomo e fecondità del suo lavoro [n. 56]
L'economia degradata dalla mancanza di giustizia [n. 57]
Equità e giustizia nell'economia [n. 58]
Ispirare nuove proposte giubilari [n. 59]
V LA FAME: UN APPELLO ALL'AMORE
Il povero ci chiama all'amore [n. 60]
La povertà di Dio [n. 61]
La Chiesa è con i poveri [n. 62]
Il povero ed il ricco sono entrambi chiamati alla libertà [n. 63]
La necessaria conversione del cuore dell'uomo [n. 64]
« Diffidate degli idoli! » [n. 65]
L'attenzione al povero... [n. 66]
... nell'ascolto di Dio [n. 67]
Cambiare vita... [n. 68]
... per cambiare la vita [n. 69]
Sostenere le iniziative [n. 70]
La chiamata alla missione nella quotidianità di ogni cristiano [n. 71]
(1) Nell'elaborazione del presente documento, il cui originale è in
lingua francese, particolare cura è stata posta nel tener conto degli
studi più diversi e recenti; purtuttavia, il fatto che vengano citati nel
testo non ne implica un'approvazione integrale e senza riserve.
(2) Cf. ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), Déclaration
universelle des droits de l'homme (Dichiarazione universale dei diritti
dell'uomo), adottata e proclamata dall'Assemblea Generale delle
Nazioni Unite nella sua risoluzione 217 A (III) del 10 dicembre 1948, art.
25.1.
(3) ONU, Déclaration sur le progrès et le développement dans le
domaine social (Dichiarazione sul progresso e lo sviluppo nel settore
sociale), proclamata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nella
sua risoluzione 2542 (XXIV) dell'11 dicembre 1969, parte II, art. 10b.
(4) ONU, Déclaration universelle pour l'éliminataion définitive de
al faim et de la malnutrition (Dichiarazione universale per l'eliminazione
definitiva della fame e della malnutrizione), Conférence Mondiale de
l'Alimentation (Conferenza Mondiale sull'Alimentazione) Roma, 16
novembre 1974, n. 1.
(5) FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e
l'agricoltura) ed OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità),
Conférence Internationale sur la Nutrition, Déclaration mondiale sur la
nutrition (Conferenza Internazionale sulla Nutrizione, Dichiarazione
mondiale sulla nutrizione), Rapporto finale della Conferenza, n. 1,
Roma 1992.
(6) 3 Cf. ibid., n. 1. Cf. anche FAO, Necessità e risorse,
Atlante dell'alimentazione e dell'agricoltura, Roma 1995, p. 16: « In
media nel mondo sono disponibili circa 2700 calorie alimentari a testa al
giorno, abbastanza da soddisfare il fabbisogno energetico di tutti. Ma non
esiste uniformità nella produzione, né nella distribuzione alimentare.
Alcuni paesi producono più di altri, ma sono i sistemi di distribuzione e
il reddito familiare a determinare l'accesso agli alimenti ».
(7) Cf. FAO, Agriculture: Horizon 2010 (Agricoltura: Orizzonte
2010), Doc. C 9324, Roma 1993, p. 1.
(8) Cf. Conc. Oecum. Vat. II, Costituzione Pastorale Gaudium et
spes (1965), n. 40: « La Chiesa, che è insieme società visibile e
comunione spirituale, cammina insieme con l'umanità tutta e sperimenta
assieme al mondo la medesima sorte terrena, ed è come il fermento e quasi
l'anima destinata a rinnovarsi in Cristo e trasformarsi in famiglia di
Dio. Tale compenetrazione di città terrena e città celeste non può certo
essere percepita se non con la fede... ».
(9) Conc. Oecum. Vat. II, Costituzione pastorale Gaudium et spes
(1965), n. 69.
(10) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Sollicitudo rei socialis
(1987), n. 41, AAS (1988), p. 570.
(11) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Sollicitudo rei socialis
(1987), n. 33, l. c., p. 558; cf. anche Paolo VI, Lettera
Enciclica Populorum progressio (1967), n. 47, AAS (1967), p.
280.
(12) Cf. FAO, Necessità e risorse. Atlante dell'alimentazione e
dell'agricoltura, Roma 1995, p. 16. Cf. anche nota n. 4.
(13) Cf. Alan Berg, Malnutrition: What can be done? Lessons from
World Bank Experience, The John Hopkins University Press for World
Bank, Baltimore, Maryland, 1987.
(14) Alcuni studi condotti dalla FAO e dall'OMS hanno stabilito che il
minimo giornaliero necessario è di circa 2100 calorie e la disponibilità
quotidiana necessaria di alimenti deve essere pari a 1,55 volte il
metabolismo di base; al di sotto di questi parametri un individuo può
essere considerato sofferente di sotto alimentazione cronica (cf. FAO ed
OMS, Conférence Internationale sur la Nutrition. Nutrition et
développement. Une évaluation d'ensemble [Conferenza Internazionale sulla
Nutrizione. Nutrizione e sviluppo. Una valutazione d'insieme], Roma
1992). Attualmente, esistono ancora nel mondo 800 milioni di individui
sotto alimentati, il fabbisogno medio di un adulto è di 2500 calorie al
giorno. Gli abitanti dei paesi industrializzati assimilano circa 800
calorie in eccesso al giorno, mentre gli abitanti dei paesi in via di
sviluppo debbono accontentarsi di un apporto di due terzi di tale razione
(cf. Le sud dans votre assiette. L'interdépendance alimentaire
mondiale, CRDI, Ottawa 1992, p.26).
(15) 3 Cf. Documento preparatorio dell'UNCTAD (Conferenza delle Nazioni
Unite per il Commercio e lo Sviluppo) alla seconda Conférence des Nations
Unies sur les Pays Moins Avancés (Conferenza delle Nazioni Unite sui
Paesi meno sviluppati), Parigi 1990.
(16) FAO ed OMS, Conférence Internationale sur la Nutrition.
Déclaration mondiale sur la nutrition, (Conferenza Internazionale sulla
Nutrizione. Dichiarazione mondiale sulla nutrizione) Rapporto finale
della Conferenza Roma 1992, n. 2.
(17) Cf. Banca Mondiale, Poverty and Hunger, 1986. Questo
documento descrive i livelli di insicurezza alimentare (transitori o
cronici), le cause economiche di tali situazioni ed i mezzi per porvi
rimedio a medio ed a lungo termine. Tale distinzione, pur se utile,
presenta l'inconveniente di non evidenziare direttamente le correlazioni
fra le diverse cause, il che metterebbe più chiaramente in luce il loro
ordine di importanza, in quanto alcune cause sono allo stesso tempo
effetto di cause più profonde. Il concetto di durevole associato allo
sviluppo aveva in origine il senso di un processo compatibile con il
rispetto dell'ambiente, mentre ora tale nozione comprende anche quella
della permanenza dello sviluppo.
(18) Cf. Banca Mondiale, Poverty and Hunger, 1986.
(19) Il termine italiano traduce l'espressione francese « pays en mal
de développement », la quale esula dal campo della mera economia, e si
applica ai paesi la cui evoluzione economica e sociale è eccessivamente
onerosa in termini di sofferenze umane, di mezzi finanziari e, in ugual
misura, di abbandono di conoscenze e pratiche usuali e di perdita di un
patrimonio acquisito nel corso dei secoli.
(20) L'Asia ha fatto registrare globalmente una performance molto più
efficace, dovuta, in complesso a migliori politiche e a migliori
realizzazioni, senza che tuttavia la qualità dei rapporti interpersonali
possa essere considerata migliore, né i livelli di corruzione più
bassi.
(21) In alcuni paesi si sono dovuti effettuare dei tagli nel settore
dell'educazione. Da notare che in molti dei paesi con difficoltà di
sviluppo, una certa propensione a favorire l'insegnamento superiore a
spese dell'istruzione primaria, costituisce un problema ricorrente che le
istituzioni internazionali debbono affrontare nel loro dialogo con questi
paesi.
(22) Cf. UNFPA (United Nations Populations Fund – Fondo delle Nazioni
Unite per la Popolazione), The State of World Population 1993, New
York 1993; United Nations, World Population Prospects; the 1992
Revision, New York 1993. Cf. anche FNUAP (Fonds des Nations Unies pur
la Population), Etat de la population mondiale 1994. Choix et
responsabilités.
(23) PNUD (Programme des Nations Unies pour le Developpement –
Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo), Rapport mondial sur le
developpement humain, 1990. Economica, Parigi 1990. Cf. ibidem,
p. 94: nei paesi in via di sviluppo, laddove vive la maggior parte delle
persone che soffrono la fame, la popolazione rurale è più che raddoppiata
e la popolazione urbana è triplicata o quadruplicata in 30 anni (dal 1950
al 1980).
(24) Cf. Franz Böckle u.a., Armut und Bevölkerungs-Entwicklung in
der Dritten Welt (Povertà e sviluppo demografico nel terzo
mondo) edita dal Gruppo di lavoro scientifico sui problemi della
Chiesa universale della Conferenza Episcopale tedesca, Bonn 1991.
(25) Cf. Pontificia Accademia delle Scienze, Popolazione e Risorse.
Rapporto. Città del Vaticano 1993 (i dati statistici forniti hanno già
subito delle modifiche).
(26) Cf. Pontificio Consiglio per la Famiglia, Evoluzioni
demografiche. Dimensioni etiche e pastorali, Città del Vaticano 1994.
Cf. Le contrôle des naissances dans les pays du Sud: promotion des
droits des femmes ou des intérêts du Nord, in « Inter-mondes », vol.
7, n. 1, ottobre 1991, p. 7: recentemente, numerose ricerche hanno
dimostrato che altri tre fattori, oltre al controllo delle nascite,
contribuiscono parimenti al rallentamento della crescita della popolazione
mondiale. Si tratta dello sviluppo economico e sociale, del miglioramento
delle condizioni di vita delle donne, e, paradossalmente, della riduzione
della mortalità infantile. Cf. anche UNICEF (United Nations Children's
Fund – Fondo delle Nazioni Unite per l'Infanzia), La situation des
enfants dans le monde, Ginevra 1991.
(27) Cf. Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla
Settimana di Studi su « Risorse e Popolazione » organizzata dalla
Accademia Pontificia delle Scienze (22 novembre 1991), nn. 4 e 6: « La
Chiesa è consapevole della complessità del problema... Ma al momento di
adottare misure di emergenza, non bisogna essere indotti in errore;
l'applicazione di metodi che non risultano in armonia con la vera natura
dell'uomo, finisce di fatto per causare danni drammatici... che colpiscono
in particolare gli strati più poveri e deboli della popolazione,
aggiungendo ingiustizia ad ingiustizia », AAS (1992), pp.
1120-1122. Cf. anche Cardinal Angelo Sodano, Intervento alla
Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo (CNUED), di Rio
de Janeiro (13 giugno 1992), L'Osservatore Romano, 15-16 giugno
1992.
(28) FAO e OMS, Conférence Internationale sur la Nutrition.
Déclaration mondiale sur la nutrition (Conferenza Internazionale sulla
Nutrizione. Dichiarazione mondiale sulla nutrizione), Rapporto finale
della Conferenza, Roma 1992, n. 15.
(29) Cf. FAO, Agriculture: Horizon 2010, Doc. C 9324, Roma 1993,
n. 2.13.
(30) Cf. PNUD Rapport Mondial sur le Dévloppement humain 1990
(Rapporto Mondiale sullo Sviluppo umano 1990), Economica Paris 1990,
p. 18.
(31) FAO ed OMS, Conférence Internationale sur la Nutrition.
Déclaration mondiale sur la Nutrition, (Conferenza Internazionale
sulla Nutrizione. Dichiarazione mondiale sulla nutrizione.) Rapporto
finale della Conferenza, Roma 1992, n. 1.
(32) Ibidem.
(33) L'Argentina risulta fra i massimi esportatori di grano e di carne
bovina: Questa nazione, dunque, non è da annoverarsi fra i paesi con
difficoltà di sviluppo; è un paese industrializzato il cui andamento
economico sul lungo periodo era insoddisfacente per ragioni essenzialmente
imputabili alle debolezze dei suoi sistemi politici. Tale situazione è
profondamente mutata negli ultimi anni e le conseguenze economiche sono
già evidenti.
(34) Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice
Vaticana 1992, § 1906 ove si trova la definizione di « bene comune »,
ripresa da Gaudium et spes, n. 26, § 1: « l'insieme di quelle
condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi come ai singoli
membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più
speditamente ».
(35) Giovanni Paolo II, Discorso al Palazzo della CEAO (Comunità
Economica dell'Africa Occidentale), Ouagadougou, 29 gennaio 1990,
AAS (1990), p. 818.
(36) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Centesimus annus
(1991), n. 31, AAS (1991), p. 831.
(37) Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Reconciliatio et
pænitentia (1984), n. 16, AAS (1985), pp. 213-217 (in termini
di peccato sociale che produce mali sociali), Lettera Enciclica
Sollicitudo rei socialis (1987), nn. 36-37, l. c., pp.
561-564 e Lettera Enciclica Centesimus annus (1991), n. 38, l.
c., p. 841. Questi documenti utilizzano anche espressioni quali «
situazioni di peccato » o anche « peccati sociali », facendo sempre
risalire la causa di questi peccati all'egoismo, alla ricerca del profitto
ed al desiderio di potere.
(38) La realizzazione dell'arma chimica, senza « ricadute », che serve
solo ad attaccare o a difendersi, ne è testimonianza. A mero titolo di
esempio, le 500.000 tonnellate di prodotti mortali, in grado di
distruggere 60 miliardi di uomini, di cui dispone l'ex Unione Sovietica,
hanno avuto un costo di produzione di 200 miliardi di dollari USA, ed
altrettanto costerà distruggerle. Si tratta di risorse reali, e dunque di
una perdita secca per il pianeta. Questa avventura perversa si traduce in
un abbassamento del tenore di vita degli uomini (principalmente, ma non
solo, nell'ex URSS) e addirittura in fame per numerose famiglie che
altrimenti non l'avrebbero conosciuta.
(39) Cf. Paolo VI, Omelia del Natale 1975 a conclusione
dell'Anno Santo, AAS (1976), p. 145. Questo concetto è stato
utilizzato per la prima volta dal Papa Paolo VI.
(40) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Centesimus annus
(1991), n. 28, l. c., p. 828.
(41) Cf. Larry Salmen, Listen to the People, Participant-Observer
Evaluation of Development Projects, The World Bank and Oxford
University Press 1987. A tale proposito si può ricordare il metodo
dell'osservatore partecipante, praticato da un consulente della Banca
Mondiale. Profondamente motivato dall'amore per gli uomini, non ha esitato
a trascorrere periodi da tre a sei mesi, nelle « favelas » dell'America
del Sud (specie Quinto e La Paz), per condurre la stessa vita della
popolazione. Ogni volta è stato così in grado di consigliare gli
architetti che lavoravano al rinnovamento urbano, per evitare che le nuove
costruzioni venissero sistematicamente danneggiate dai nuovi abitanti,
usciti dalle loro misere catapecchie. E l'ascolto preferenziale del povero
che, nel caso specifico è anche beneficiario, come lo stesso buon senso,
che richiede eroismo. In un secondo momento, il consulente ha diffuso
questo metodo in Thailandia, coinvolgendo l'autorità mondiale della Banca
per convincere i funzionari di Bangkok ad andare a vivere loro stessi per
un certo periodo con i loro concittadini svantaggiati per garantire in tal
modo il successo dei programmi di nuovi alloggi urbani.
Da segnalare ugualmente lo straordinario intervento di un pastore
inglese, Stephen Carr, che ha vissuto per 20 anni in due villaggi
africani, servendosi unicamente delle risorse e delle tecniche
tradizionali. Era divenuto molto influente in quei luoghi e, di passaggio
a Washington, è stato intervistato dalla Banca Mondiale nell'anno 1985/86.
La sua testimonianza ha illuminato gli specialisti della Banca, che
accusavano un insuccesso dopo l'altro nei progetti agricoli dell'Organismo
in Africa. Esiste una simbiosi fra il contadino e la terra. La bella terra
d'Africa è buona ma molto fragile. I cambiamenti di abitudini indotti nei
contadini dall'economia moderna e la perdita dei valori ancestrali ha
comportato la distruzione della terra. I missionari cattolici, e forse
anche altri, lo avevano perfettamente capito. Le vecchie missioni erano
rispettose dei talenti e specie dell'esperienza tradizionale. Questi
valori sono stati riscoperti da alcune ONG, fra le quali la FIDESCO, con
sede in Francia e presente in alcuni altri paesi europei.
(42) Cf. l'opera del P. Joseph Wrejinsky e di ATD - Quart-Monde.
(43) Cf. Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Pacem in terris
(1963), cap. III, AAS (1963), pp. 279-291.
(44) Giovanni Paolo II, Discorso alla Conferenza della FAO in
occasione della celebrazione del 50.esimo anniversario dell'Organizzazione
(23 ottobre 1995), n. 2, L'Osservatore Romano, 23-24 ottobre
1995.
(45) Banca Mondiale, Rapport sur le développpement dans le monde
1990 (Rapporto sullo sviluppo nel mondo), 1990, Washington 1990, p.
19.
(46) Cf. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Il
commercio internazionale delle armi. Una riflessione etica, Città del
Vaticano 1994.
(47) Cf. FAO, Développement durable et invironnement, les politiques
et activités de la FAO (Sviluppo duraturo ed ambiente, politiche ed
attività della FAO), Roma 1992.
(48) 3 Cf. Giovanni Paolo II, Discorso alla venticinquesima
sessione della Conferenza della FAO (16 novembre 1989), n. 8, AAS
(1990), pp. 672-673.
(49) Cf. Chirografi d'istituzione delle Fondazioni Pontificie «
Giovanni Paolo II per il Sahel », fondata il 22 febbraio 1984 e «
Populorum Progressio », fondata il 13 febbraio 1992. La sede legale delle
due Fondazioni è presso il Pontificio Consiglio « Cor Unum », Stato della
Città del Vaticano; la sede del Consiglio di Amministrazione della
Fondazione « Giovanni Paolo II per il Sahel » è a Ouagadougou (Burkina
Faso) e quella della Fondazione « Populorum Progressio » a Santafé di
Bogotà (Colombia).
(50) Cf. Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea generale
delle Nazioni Unite in occasione del 50o anniversario dell'Organizzazione
(5 ottobre 1995), nn. 12 e 13, L'Osservatore Romano, 6 ottobre
1995.
(51) Citiamo alcune di queste iniziative: Economia di Comunione Opera
di Maria, Movimento del Focolare (Grottaferrata, Roma) AVSI Comunione e
Liberazione (Milano), FIDESCO Communauté Emmanuel (Parigi); « Famiglia in
Missione » Cammino Neocatecumenale (Roma), Opera sociale « Kolping
International » (Colonia).
(52) PNUD, op. cit., p. 31 (cf. nota n. 29).
(53) Cf. IFAD (International Fund for Agricultural Development – Fondo
Internazionale per lo Sviluppo Agricolo), The Role of Rural Credit
Projects in Reaching the Poor, Rome-Oxford 1985.
(54) Cf. Giovanni Paolo II, Lettera alle donne (29 giugno 1995),
n. 4, AAS (1995), pp. 805-806.
(55) Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Mulieris
dignitatem (1988), nn. 6-7, AAS (1988), pp. 1662-1667. Cf.
anche Esortazione Apostolica post-sinodale Christifideles laici
(1988), AAS (1989), pp. 489, 492.
(56) Si può trarre una valutazione dell'ordine di grandezza della
corruzione, dalle stime dei servizi competenti di repressione delle frodi
(specie in Francia, TRACFIN) sull'entità del riciclaggio del denaro.
(57) 3 Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Sollicitudo rei
socialis (1987), n. 44, l. c., pp. 576-577.
(58) Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Pacem in terris (1963)
cap. III, AAS (1963), p. 290.
(59) Cf. Leone XIII, Lettera Enciclica Rerum novarum (15 maggio
1891), Leonis XIII P.M. Acta, XI, Romae 1892, pp.
97-144.
(60) Cf. FAO, « Charte des paysans » (Carta dei lavoratori
agricoli): Dichiarazione di principio e programma d'azione
nel Rapporto della Conférence Mondiale sur la Réforme agraire et
le Développement rural (Conferenza Mondiale sulla Riforma agraria e lo
Sviluppo rurale), Roma 1979.
(61) Cf. FAO, Rapporto della Conferenza della FAO, 23a
sessione, C85REP, p. 46; Roma, 9-28 novembre 1985.
(62) Cf. nota n. 4.
(63) Cf. Banca Mondiale, Rapport sur le développement dans le monde,
1990, avant-propos, Washington 1990.
(64) Giovanni Paolo II, Discorso in occasione del 50o
anniversario della FAO, n 4, L'Osservatore Romano, 23-24 ottobre
1995.
(65) Cf. PNUD, Rapport mondial sur le développement humain 1992,
Economica, Parigi 1992, p. 49; cf. anche ONU, Rapport de la
Conférence des Nations Unies sur l'environnement et le
développement (Rapporto della Conferenza delle Nazioni Unite
sull'ambiente e lo sviluppo), Rio de Janeiro 1992, par. 33.13: « I paesi
industrializzati reiterano il loro impegno a devolvere lo 0,7% del loro
PIL all'APD [Aide Publique au Développement]- percentuale stabilita
dall'ONU e da loro convenuta- e, se non già realizzato, accettano di
rivedere i loro programmi di aiuto per raggiungere tale livello prima
possibile...Alcuni paesi si sono impegnati a raggiungere tale livello
prima dell'anno 2000...I paesi che lo hanno già fatto debbono essere
lodati ed incoraggiati a continuare a contribuire all'azione comune tesa a
mettere a disposizione le importanti risorse supplementari
necessarie".
(66) Cf. ONU, Rapport du Sommet Mondial pour le Développement
Social (Rapporto del Vertice Mondiale sullo Sviluppo
Sociale), Copenaghen, 6-12 marzo 1995, Déclaration et Programme
d'action (Dichiarazione e programma d'azione), par. 88b.
(67) Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Mater et magistra (1961),
cap. III, AAS (1961), p. 440.
(68) Giovanni Paolo II, Discorso in occasione del 50o anniversario
della FAO, n. 3, L'Osservatore Romano, 23-24 ottobre 1995.
(69) Cf. PNUD, op. cit., pp. 164-165 (cf. nota n. 64).
(70) FAO, Necessità e risorse... (cf. nota n. 11), p. 35. La
sicurezza alimentare dipende generalmente da quattro elementi: la
disponibilità di approvvigionamenti alimentari,
l'accessibilità ad una alimentazione sufficiente, la
stabilità degli approvvigionamenti, l'accettabilità
culturale degli alimenti o di determinate associazioni di
alimenti.
(71) Cf. anche Pacte mondial de sécurité alimentaire (Patto mondiale
di sicurezza alimentare) (1985), già menzionato al n. 40.
(72) FAO, Landlessness. A growing problem, « Economic and Social
Development Series », 2, n. 28, Roma 1984; versione francese: Le
paysannat sans terre. Un problème toujours plus aigu, in « Collection
FAO: développement économique et social », n. 28, Roma 1985.
(73) Giovanni Paolo II, Messaggio in occasione della Giornata
Mondiale per la Pace del 1o gennaio 1990, « La pace con Dio Creatore,
la pace con tutta la creazione », n. 11, AAS (1990), p. 153.
(74) Conc. Oecum. Vat. II, Dichiarazione Gravissimum
educationis, n. 1, che rinvia a Pio XI, Lettera Enciclica Divini
illius magistri (1929), AAS (1930), pp. 50 ss.
(75) Cf. anche Pontificio Consiglio « Cor Unum », Catholic Aid
Directory, 4a ed., Città del Vaticano 1988 (prossimamente sarà
pubblicata la 5a edizione). Si considerino, ad esempio, gli Organismi
Membri di « Cor Unum »: Association internationale des Charités de St.
Vincent de Paul (AIC), Caritas Internationalis, Unione Internazionale
Superiore Generali (U.I.S.G.), Unione Superiori Generali (U.S.G.),
Australian Catholic Relief, Caritas Italiana, Caritas Liban, Catholic
Relief Services U.S.C.C., Deutscher Caritasverband, Manos Unidas,
Organisation Catholique Canadienne pour le Développement et la Paix,
Secours Catholique, Kirche in Not, Société de Saint Vincent de Paul,
Secrétariat des Caritas de l'Afrique francophone, Caritas Aotearoa (Nuova
Zelanda), Caritas Bolivia, Caritas Española, Caritas Moçambicana,
Misereor, Österreichische Caritaszentrale, Ordine di Malta.
(76) Molto importante è l'Unità IV del Consiglio Mondiale delle Chiese
a Ginevra; da menzionare altresì l'opera della Croce Rossa nel mondo.
(77) Cf. nota n. 48.
(78) Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Tertio millennio
adveniente (1994), n. 12, AAS (1995), p. 13.
(79) Cf. ibid., n. 13, l.c., pp. 13-14.
(80) Conc. Oecum. Vat. II, Costituzione Pastorale Gaudium et
spes (1965), n. 39.
(81) Giovanni Paolo II, Meditazione in occasione della veglia di
preghiera al Cherry Creek State Park, nell'ambito della celebrazione della
VIII Giornata mondiale della gioventù, 14.8.1993, AAS (1994), p.
416.
(82) Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Tertio millennio
adveniente (1994), n. 51: « ... proponendo il Giubileo come un tempo
opportuno per pensare, tra l'altro, ad una consistente riduzione — se non
proprio al totale condono — del debito internazionale che pesa sul destino
di molte Nazioni », l. c., p. 36.
(83) Cf. a tale proposito H. Hude, Ethique et Politique,
capitolo XIII: « La justice sur le marché », Ed. Universitaires,
Parigi 1992.
(84) Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Centesimus annus
(1991), n. 34, l. c., pp. 835-836.
(85) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium vitae
(1995), n. 69, AAS (1995), p. 481.
(86) La Lettera Enciclica Centesimus annus (1991) del Papa
Giovanni Paolo II offre delle indicazioni in tal senso al n. 36: «
Individuando nuovi bisogni e nuove modalità per il loro soddisfacimento, è
necessario lasciarsi guidare da un'immagine integrale dell'uomo, che
rispetti tutte le dimensioni del suo essere e subordini quelle materiali
ed istintive a quelle interiori e spirituali. Al contrario, rivolgendosi
direttamente ai suoi istinti e prescindendo in diverso modo dalla sua
realtà personale cosciente e libera, si possono creare abitudini di
consumo e stili di vita oggettivamente illeciti. Il sistema economico non
possiede al suo interno criteri che consentano di distinguere
correttamente le forme nuove e più elevate di soddisfacimento dei bisogni
umani dai nuovi bisogni indotti, che ostacolano la formazione di una
matura personalità. E perciò necessaria ed urgente una grande opera
educativa e culturale, la quale comprenda l'educazione dei consumatori ad
un uso responsabile del loro potere di scelta, la formazione di un alto
senso di responsabilità nei produttori e, soprattutto, nei professionisti
delle comunicazioni di massa, oltre che il necessario intervento delle
pubbliche autorità... alludo al fatto che anche la scelta di investire in
un luogo piuttosto che in un altro è sempre una scelta morale e culturale
», l. c., pp. 838-840.
(87) Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Centesimus annus
(1991), n. 60, l. c., pp. 865-866.
(88) Leone XIII, Lettera Enciclica Rerum novarum (1891), n.
35.
(89) Cor Unum cercherà di favorire la realizzazione di questo
progetto.
(90) Giovanni Paolo II, Secondo viaggio in Brasile (12-21 ottobre
1991), Discorso nella favela del Lixão de São Pedro,
Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIV2 (1991), p. 941.
(91) Conc. Oecum. Vat. II, Costituzione Pastorale Gaudium et
spes (1965), n. 37. Cf. anche Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica
Sollicitudo rei socialis (1987), nn. 27-28: « una simile concezione
[di sviluppo], legata alla nozione di "progresso", dalle
connotazioni+++
(92) 3 Cf. nota n. 38.
(93) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Redemptoris missio
(1990), n. 59, AAS (1991), pp. 307-308.
(94) Questa convinzione non è soltanto diffusa presso i cristiani. E
alla base di un movimento recentemente costituito negli Stati Uniti, il «
comunitarismo ». Il sociologo A. Etzioni presenta il movimento che auspica
la promozione del bene comune di ogni uomo nel suo studio The Spirit of
Community. Rights, Responsabilities and the Communitarian Agenda,Crown
Publishers, inc. New York 1993.
(95) Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Sollicitudo rei
socialis (1987), n. 40, l. c., p. 569.
(96) Cf. Secretaria Status Rationarium Generale Ecclesiae, Annuarium
statisticum Ecclesiae, Typis Vaticanis (1994), p. 41.
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