Ignazio Contu

La rete non è un luogo immaginario
è un mondo in cui dovremo convivere

1.
Nel mese di luglio del 1969, quando per la prima volta due americani misero piede sulla Luna, vedendo quella straordinaria impresa in diretta televisiva, mi accorsi di provare, insieme con il grande entusiasmo comune a tutti, anche un'altra emozione più strettamente personale, quasi di disappunto. Appena quindici anni prima, nell'articolo con cui avevo presentato il numero speciale dedicato all'astronautica dalla rivista di divulgazione scientifica che allora dirigevo (l'edizione italiana di "Science et vie") avevo scritto, infatti, e mi pareva di essere stato azzardato, che le ricerche nel campo della propulsione aerea e della biomedicina spaziale erano talmente avanzate da far ritenere possibile "nel Duemila" l'arrivo dell'uomo sul nostro satellite: nella migliore delle ipotesi sarebbe dovuto trascorrere, perciò, almeno mezzo secolo. A me e a tutti gli altri autori di quel rapporto, che erano scienziati e tecnici di riconosciuta competenza in materia di esplorazioni celesti, non era venuto neppure il sospetto che, per queste come per tante altre conquiste, il tempo dell'attesa fosse già incominciato a scorrere con una velocità destinata ad aumentare con progressione geometrica. Pensavamo di esserci attenuti a valutazioni realistiche, né troppo prudenti né troppo avventate, ma in realtà, come finii per comprendere con assoluta chiarezza e con qualche rammarico soltanto il giorno dello sbarco sulla Luna, non avevamo capito che il progresso tecnologico aveva già cambiato passo e obiettivi: stava per diventare travolgente. Senza rendercene conto ancora ragionavamo e prendevamo le misure delle probabili realtà evenemenziali davanti a noi con un metro che credevamo avveniristico e invece era del tutto sorpassato.

2.
Il 21 luglio scorso, mentre stavo correggendo le bozze di questo numero di Telèma, per una di quelle fulminee associazioni di ricordi e di riflessioni che soltanto le coincidenze significative sanno provocare, la rievocazione di quell'avventura lunare, nel giorno del suo trentesimo anniversario, ha fatto riaffiorare improvvisamente dalla mia memoria la sensazione di inadeguatezza che avevo provato allora, e un dubbio più attuale ma analogo. Il dubbio, cioè, che anche di fronte al nuovo e non ancora compiutamente definito fenomeno delle comunità telematiche fatte nascere e propagate da Internet avessi assunto inconsapevolmente, e potessi suggerire ai lettori di Telèma, lo stesso atteggiamento mentale che negli anni Cinquanta non aveva fatto prevedere a nessuno ciò che una più attenta interpretazione degli indizi visibili e una maggiore fiducia nell'ingegno umano avrebbero potuto consentirci di prevedere. Soprattutto dopo aver letto e riletto gli articoli, le interviste e le dichiarazioni con cui abbiamo voluto fare il punto sulla consistenza e sul significato delle comunità on line, so di poter dire ragionevolmente che questa volta un errore del genere non verrà compiuto.

Miliardi di esseri umani ignorano del tutto questa nuova realtà. E anche nei paesi industrializzati la maggioranza delle persone non ha ancora capito bene di che cosa si tratti. Chiunque abbia avuto modo di entrare e navigare on line, o di apprendere in qualche altro modo come essa funzioni e che cosa vi accada, sa molto bene, invece, che le comunità telematiche sono luoghi dove si svolgono attività di lavoro, di relazione e di ricerca assolutamente "vere" e sempre più importanti. Le chiamiamo virtuali per semplice convenzione linguistica ma la loro entità, pur essendo priva della fisicità corporea che molti ancora considerano requisito fondamentale di qualsiasi forma di collettività umana, possiede e rivela eccezionali attitudini alla concretezza. Chi poi ne ha studiato il modo di formarsi, l'evoluzione e le finalità, ha potuto e dovuto constatare che all'interno della rete, e grazie alle sue connessioni, esse stanno dando vita a una vera e propria "società parallela" in continua e spontanea espansione. Per il momento vi si aderisce per affinità di interessi specifici di varia natura, più o meno nobili, e nella maggior parte dei casi in seguito a scelte elettive di carattere elitario. Ma presto nessuna persona che voglia o debba svolgere una qualsiasi attività produttiva o creativa potrà fare a meno di entrare in una comunità telematica. Se oggi vi si accede liberamente per un calcolo di opportunità, domani bisognerà farlo per necessità.

Da una società digitale alternativa si passerà, così, a una coscrizione in rete obbligatoria. Gli ultimi censimenti ci dicono che attualmente i collegati a Internet sono quasi duecento milioni, di cui la metà negli Stati Uniti, con un tasso di crescita annuo del 50%. Questo significa che molto presto saranno, saremo, più di mezzo miliardo, fra dieci o quindici anni il triplo, più in là tutti: tranne coloro i quali si autoescluderanno dalla rete per ragioni simili a quelle degli antichi anacoreti o avranno la sfortuna (perché in questo caso per loro sarà un handicap pesantissimo) di restarne fuori involontariamente.
L'intera popolazione attiva delle prossime generazioni dovrà possedere, dunque, la cittadinanza digitale. Il computer avrà la stessa diffusione che ora hanno i telefoni o i televisori, con la differenza, abissale, che mentre l'uso di questi ultimi finora non ha modificato, si è limitato ad agevolarle, le nostre comunicazioni con gli altri e con la realtà esterna, una connessione universale in rete farà del mondo e della vita che vivremo (poco importa se operosa od oziosa, piacevole o sgradevole) qualcosa di profondamente diverso. La conquista simbolica della Luna ci ha reso orgogliosi della nostra potenza tecnica e ci ha fatto sognare altre innumerevoli meraviglie astronautiche, che poi non abbiamo visto, ma non ha cambiato minimamente le abitudini e le condizioni della nostra esistenza di terrestri. L'internettizzazione globale prossima ventura lo farà, inevitabilmente; potremmo dire senza scampo se questo termine, così efficace nel definire un evento ineluttabile, non si riferisse abitualmente a un'ipotesi di sicuro pericolo. Ma non è così.

3.
L'evento che sta per accadere, va detto subito a chi legge per la prima volta Telèma e non ha ancora sfogliato questo numero, può essere considerato una catastrofe soltanto se si dà a questo termine il significato che nel linguaggio matematico indica soltanto un fenomeno di discontinuità. Gli autori della nostra monografia, pur appartenendo a scuole di pensiero e osservando il fenomeno da punti di vista diversi, su questo sono sostanzialmente concordi: nessuno di loro nega che la telematizzazione globale della maggior parte delle attività umane rappresenti, appunto, una imponente e per conseguenza anche drammatica crisi di discontinuità fra presente e futuro. Sono talvolta dissonanti, invece, i loro giudizi di valore sugli effetti pratici che ne possono derivare in ogni campo (dalle attività finanziarie e commerciali, alla ricerca scientifica, alla politica, alla cultura o allo svago) e sulla questione, ancora più dirimente, che riguarda la valenza sociale delle comunità on line: c'è chi le vede come promotrici di maggiore benessere e solidarietà e chi teme, al contrario, che se prenderanno il posto delle comunità tradizionali questo sarà un regresso. Quasi tutti gli intellettuali che abbiamo interpellato su questi temi hanno già partecipato ai nostri dibattiti come, per esempio, Furio Colombo, Giuseppe De Rita, Derrick de Kerckhove, Aldo Rovatti, Franco Prattico, Aldo Carotenuto, Franco Carlini, Francesco Fedi, Maurizio Dècina, Giulio Sapelli. Altri, come Pierre Lévy, Luciano Violante, Salvatore Cardinale, Federico Capasso, Giuseppe O. Longo, Federico Faggin, Peppino Ortoleva, il multiforme Luther Blissett, lo fanno per la prima volta: così hanno reso più ampio e ancor più qualificato (poiché anch'essi hanno prestigio, autorevolezza e competenze notevoli) il coro delle voci che ci sembra necessario far conoscere ai nostri lettori.

4.
Fra pochi mesi Telèma compirà cinque anni. Il suo primo numero uscì nel 1995, quando soltanto una esigua élite di esperti, qualche intellettuale attento e pochi esponenti della nostra classe dirigente avevano già intuito quanto sarebbe stata radicale la rivoluzione telematica, allora appena all'inizio. Molti ancora scambiavano i suoi primi nitidi segnali per semplici avvisaglie di una normale innovazione tecnologica, più o meno simile alle tante altre che dal secolo scorso hanno reso meno faticosa e più piacevole la nostra vita materiale, senza tuttavia mutare in maniera significativa ciò che nella vita dovrebbe contare molto di più delle comodità pratiche: il nostro rapporto con gli altri e con la realtà che ci circonda. Sarebbero bastati pochi anni per dimostrare quanto fosse sbagliata una valutazione così riduttiva.

Ormai anche in Italia coloro i quali hanno compiti di orientamento, di guida o di formazione (politici, manager, sindacalisti, alti burocrati, studiosi, giornalisti, ecc) sono informati, infatti, delle possibili conseguenze, positive o negative, dei mutamenti che la rivoluzione telematica sta provocando in ogni ambito della nostra vita e nel nostro stesso modo di essere. E nessuno mette più in dubbio che essa abbia dischiuso, insieme a molte formidabili opportunità, anche qualche ipotesi di rischio, poiché non tutto quello che ne sappiamo è rassicurante; e nell'ancora ignoto è già possibile intravedere anche smarrimenti ed esclusioni. Del resto, qualsiasi crisi di civiltà porta nel proprio grembo, con l'incertezza dei suoi esiti finali, la certezza di costi che, per qualcuno da qualche parte e forse per molti dappertutto, sono destinati a essere altissimi.
Ma se il mito consolatorio di un futuro sempre migliore del passato è ormai sfatato, non è vero neppure il contrario. Avendone la volontà e predisponendone tempestivamente condizioni e strumenti, è possibile governare il corso delle cose nuove per dirigerle là dove è meglio. Per poterlo fare, per tentare di farlo con qualche maggiore probabilità di successo, è tuttavia indispensabile averne compreso il senso, la portata e la velocità prima che esso abbia raggiunto traguardi negativi irreversibili.

5.
Telèma è nata proprio con l'ambizione di contribuire a una più diffusa presa di coscienza del carattere straordinario di una così urgente esigenza conoscitiva. Nei suoi primi numeri ha illustrato ogni aspetto dei fenomeni e dei problemi (tecnici, economici, culturali, sociali ma anche etico-morali, psicologici e antropologici) che connotano i mutamenti in atto. E ha promosso dibattiti assolutamente spregiudicati, in quanto del tutto liberi, sia per dare voce alle speranze e ai timori che ne derivano sia per favorire confronti di progetti di cui fosse opportuno dare conto.

Non siamo in grado di giudicare con distaccata obiettività se, e come, abbiamo saputo assolvere questo compito; e lo stesso atteggiamento problematico che suggeriamo agli altri ci fa apparire impropria, comunque, qualsiasi autocertificazione di qualità. Perciò, volendo fare un bilancio realistico dei risultati conseguiti dalla rivista, abbiamo deciso di raccogliere le opinioni in proposito di alcuni fra i suoi autori e lettori più autorevoli e i giudizi degli abbonati che hanno accettato di partecipare a un analogo sondaggio. Dai primi di settembre chiunque consulti la nostra edizione on line, dove lo spazio di cui possiamo disporre è pressoché sconfinato, può trovare le une e gli altri. Chi legge soltanto la versione cartacea di Telèma e avesse la curiosità di apprendere ciò che ne pensa ciascuno dei suoi critici più illustri (dal presidente del Consiglio a quelli del Senato e della Camera, dai maggiori rappresentanti dell'imprenditoria e dei sindacati a quelli delle Autorità di garanzia, a uno dei più ascoltati cardinali italiani, a moltissimi scienziati, letterati, studiosi, direttori di giornali, ecc) potrà ricevere, chiedendocelo, il fascicolo in cui presto pubblicheremo le loro dichiarazioni.

Leggendole, i dirigenti responsabili della Fondazione Bordoni, che è il coraggioso e disinteressato editore di Telèma, la direzione e tutta la redazione della rivista se ne sono sentiti (questo possiamo dirlo) straordinariamente confortati: come accade quando anche gli altri (in questo caso un campione significativo del mondo intellettuale italiano) ti dicono che vale la pena di continuare a fare quello che stai facendo (in questo caso Telèma) perché è utile alla società di cui fai parte e (come nel nostro caso) alla cultura, libera, che stiamo cercando di servire.