Il linguaggio, la matematica, i concetti della scienza sono una forma di ricostruzione simbolica del mondo esterno che possiamo già definire "virtuale". Oggi, le nuove tecnologie permettono di estendere a tutti i nostri sensi questa possibilità di simulazione che si è dimostrata un immenso vantaggio evolutivo. Aumenta così la capacità umana di comprendere e manipolare la realtà.
«Noi siamo fatti della stessa stoffa di cui sono fatti i sogni, e la nostra
vita è circondata da un sonno...» confessa Prospero, personaggio shakespeariano.
Magiche creature di sogno, certo, fantasmi della fantasia. Ma forse nei versi di
William Shakespeare c'è la profetica intuizione di qualcosa che non è vera
soltanto nel mondo magico della Tempesta shakespeariana. Quasi sollevando
il sipario su di un'inedita rappresentazione del possibile, oggi l'accoppiata
tra computer, sensori, programmi di simulazione, potenza di elaborazione e
fantasia creatrice sta improvvisamente dilatando l'area del reale. Mai come in
quest'epoca l'uomo ha avuto la possibilità di inventare realtà, sia pure
"virtuale", di annullare alla nostra percezione ogni vincolo fisico: come
appunto accade nei sogni. E quindi, sia pure fantasmaticamente, realizzarli1.
Ma di quale
"stoffa" sono fatti i nostri sogni? Oggi sappiamo che essi, almeno in gran
parte, rappresentano la proiezione "condensata" e spesso mascherata dei nostri
desideri e dei nostri terrori. Non sappiamo come e cosa sognano gli altri
animali superiori, un cane o una tigre. Ma nei nostri sogni sono certamente
racchiusi il dramma e la sfida che, da quando ci siamo costituiti come specie,
hanno dominato la nostra evoluzione: il conflitto tra i nostri bisogni, le
nostre aspirazioni, le speranze che coltiviamo e quella entità minacciosa e mai
del tutto raggiungibile che chiamiamo realtà, materia, mondo; e l'ambizione di
riuscire a piegarla ai nostri fini.
In definitiva il cammino dell'uomo è una lunga, a volte tortuosa strada per
sostituire al caos incontrollabile della "cosa in sé" qualcosa che possiamo
dominare e modificare; sostituendo così all'incubo il sogno felice. La strada
che da allora abbiamo intrapresa per il controllo del mondo passa attraverso la
manipolazione della realtà, ma anche attraverso la sua ricostruzione. Ossia, la
progressiva sostituzione dei dati percepiti dal mondo esterno con un sistema di
simboli, la cui efficacia è misurata in modo crescente dal loro incastrarsi
reciproco, fino a dar luogo a una immagine del mondo che combaci in pratica con
i nostri desideri e le nostre richieste. Questo avviene probabilmente per ogni
vivente, e con maggior forza per gli animali superiori. Ma l'uomo ha una marcia
in più: il linguaggio.
Perciò il primo esempio di "realtà virtuale", di un
processo di simbolizzazione, cioè, che a un "reale esteso" e in sé
incontrollabile sostituisca un universo valido all'interno di un sistema di
riferimenti costituito da noi, sono appunto i linguaggi. Progressivamente, la
parola si è sostituita al mondo esterno. Quando parliamo di "oggetti della
conoscenza", crediamo di parlare di qualcosa che esiste per sé, al di là delle
nostre proiezioni. Ma in realtà già i nostri antenati, nel momento in cui
fissavano nel linguaggio concetti generali (albero, vento, ma anche Dio,
spirito, ecc), compivano una simulazione: interna quindi al linguaggio, ma che
dispiegava una formidabile capacità adattativa (darwiniana), che trasferiva
nella nostra mente (nel nostro linguaggio) le proprietà che credevamo di isolare
e definire nel mondo reale. Ad esempio sostituivano la infinita (o quasi)
varietà del mondo fisico, vegetale o animale, con alcuni suoni convenzionalmente
stabiliti, che esercitavano la loro efficacia all'interno della comunità umana,
anche se certamente non contenevano l'essenza albero o foglia se non nella
cultura, ossia nella creazione artificiale di mondo, ma che ne rendevano
possibile la (collettiva)2
manipolazione.
Il linguaggio si sostituisce così al caos, alla sterminata popolazione di
oggetti singoli, la rappresentazione simbolica delle loro relazioni reciproche e
del loro rapporto con noi. Astraendo costruiamo generalità: e queste si
costituiscono come la "realtà" entro cui si sviluppa la storia della nostra
specie. E' un mondo già virtuale, che generalizza, convenzionalizza e
stereotipizza le nostre esperienze percettive, e su questi frammenti costruisce
quella rappresentazione - che non condividiamo con nessun altro vivente - che
chiamiamo realtà. L'esempio più sconvolgente ce lo fornisce proprio il
linguaggio più potente che l'uomo abbia elaborato nel corso della sua
esplorazione del mondo, la matematica. Vale a dire la riduzione a quantità,
misura, proporzioni e calcolo (e le loro connessioni logiche) della caotica
varietà del possibile (e anche dell'impossibile).
Quella che Wigner chiama
«la irragionevole efficacia delle matematiche», la loro capacità di
corrispondere e anticipare i comportamenti della materia e la dinamica dei
fenomeni e dei processi, è la più drammatica dimostrazione della potenza e della
efficacia del processo di simbolizzazione del mondo che avviene nella mente
umana, la sostituzione del caos con un ordine "umano". E' illuminante a tale
proposito l'ipotesi di alcuni teorici della intelligenza artificiale, secondo
cui i processi cerebrali sottesi alle funzioni mentali sarebbero algoritmi di
calcolo. L'ordine che scaturisce dalle descrizioni (e anticipazioni) matematiche
del reale - che ha reso tanto potente la ricostruzione scientifica del mondo -
avrebbe così il suo punto di partenza nelle modalità di funzionamento della
nostra mente3.
La scienza matematizzata si pone quindi come totale simulazione, ricostruzione intellettuale del reale, virtualità: tanto più efficace quanto più il nostro mondo non è più quella natura di cui ci parlano i nostri sensi (qualcosa che in realtà non sappiamo cosa sia...) ma cultura. Viviamo cioè all'interno del terzo mondo di Popper (il mondo appunto della cultura): e i risultati "oggettivi" sono oggettivi in primo luogo nel linguaggio. Ricondurre le nostre esplorazioni al mondo fisico comporta una serie di operazioni di misura, di astrazione e di "denominazione", di inclusione cioè all'interno di un linguaggio: che cos'è un elettrone, al di fuori delle operazioni che descrivono carica, momento, massa, spin, ossia oggetti non rappresentabili ai nostri sensi? Su quella base, però, la nostra capacità di manipolare (nel senso di trasformare) e "conoscere" il mondo fisico si è enormemente estesa. Possiamo parlare oggi del cosmo, e addirittura almeno in parte esplorarlo, misurando e decifrando qualcosa che non dice nulla all'apparato percettivo di cui siamo dotati, individuando e misurando segnali elettromagnetici, compresi quelli invisibili ai nostri occhi, come le radiazioni infrarosse, ultraviolette, X, e domani - si spera - le fluttuazioni del campo gravitazionale. La divaricazione col mondo dei sensi "ingenui" è sempre maggiore; la potenza dell'astrazione ci restituisce una realtà sulla quale la nostra manipolazione diviene sempre più efficace. Al mondo della percezione abbiamo sostituito la misurazione dell'invisibile.
Ma la sostituzione della percezione dei nostri sensi con la misurabilità
costituisce un passo avanti nella distruzione della immagine "ingenua" del
mondo, quella che ci aveva accompagnati e guidati nel corso dell'evoluzione.
Oggi sappiamo che la rappresentazione del mondo fornita dai nostri sensi, che è
anche quella a cui faceva riferimento Aristotele, (la fisica aristotelica
continua a essere la base sulla quale percepiamo "istintivamente" il mondo,
anche se scientificamente acculturati4) non corrisponde
alle informazioni catturate dai nostri strumenti di misura e all'analisi
scientifica dei fenomeni che soggiacciono alla percezione. I nostri sensi ci
ingannano. Sappiamo ad esempio che il nostro apparato visivo, pur nella sua
perfezione, ci restituisce soltanto una parte, anche piuttosto modesta, della
informazione elettromagnetica che ci circonda. Sappiamo anche che quelle
parziali informazioni captate dai nostri recettori non avrebbero significato né
utilità se non le ricostruissimo, aggiustassimo, manipolassimo in quella parte
della corteccia cerebrale che è deputata alla visione. Una ricostruzione che non
è meccanica o automatica, perché a essa si intrecciano tracce mnestiche,
preferenze inconsce, selezioni e ricostruzioni e le aspettative costruite dalla
cultura di cui facciamo parte (sotto questo aspetto i miracoli, i fantasmi, le
magie erano "vere" per coloro che vivevano in un contesto culturale ove tali
manifestazioni erano legittime o possibili).
Insomma, l'informazione che
viene dai nostri sensi ed è elaborata dal nostro cervello è già in un certo
senso virtuale: prodotto - certo raffinatissimo - della selezione naturale, che
ha premiato quelle forme di reazione al mondo che garantivano maggiore
efficacia. Se improvvisamente i nostri sensi ci restituissero il mondo "come è"
(e com'è, in effetti, non lo sapremo mai), probabilmente ci sarebbe
impossibile adeguarci a esso. Altri nobili mammiferi - animali superiori - hanno
gamme di informazioni superiori o inferiori alle nostre senza per questo essere,
nel contesto, meno efficaci evolutivamente di noi.
Ma se il mondo dei sensi ci inganna, noi inganniamo lui: nel senso che
sostituiamo al magma indecifrabile del reale, della cosa in sé, una serie di
rappresentazioni selezionate che l'evoluzione ci ha garantito efficaci
(altrimenti non ci saremmo). E' quindi un processo antichissimo ma che soltanto
adesso emerge in tutta la sua chiarezza, dal momento che l'uomo s'è messo in
grado di costruire strumenti che da una parte - sostituendo alla percezione la
misura - penetrano nell'invisibile, denudano il reale dalle sue apparenze
illusorie, demistificano l'illusione dei sensi. Dall'altra, però, ci mettono in
grado di "ingannare" i nostri sensi, prolungare la metafora del linguaggio,
costruendo rappresentazioni dirette a loro, sfruttando la loro stessa
"ingenuità". Ne sono esempi tra i tanti le immagini, in sé bidimensionali e
statiche, del cinema e della televisione, che percepiamo come tridimensionali e
in movimento, la distruzione del concetto di lontananza resa possibile dal
telefono, che trascende la percezione localistica della distanza e, trasformando
un segnale elettromagnetico in voce, illude su una presenza, una contiguità
fantasmatica.
Proprio fondandoci su questi "inganni" dei sensi costruiamo
nuove rappresentazioni, sempre più ricche ed estese. Il mondo virtuale
(telefono, televisione, cinema e ora, in modo sempre più massiccio, il computer)
non è perciò per noi meno reale di un tramonto: opera attraverso gli inganni del
nostro sistema percettivo5, come uno
spettacolo di natura, ma ci consente di simulare la percezione "naturale" del
mondo esterno.
In un certo senso, ci addestra a muoverci in una realtà più ampia: dalle
simulazioni di volo per addestrare i piloti fino alla rappresentazione numerica
sul computer di fenomeni e processi la cui dinamica ed evoluzione vogliamo
conoscere, inserendo e facendo agire tutte le variabili di cui dobbiamo tener
conto. Per giungere a quella che viene appunto definita "realtà" - che è poi una
costruzione soltanto umana, una ragnatela che non avrebbe nessun valore
adattativo per una specie che non fosse provvista di linguaggio e quindi di
capacità di generalizzazione e di astrazione.
Questa stessa conoscenza,
d'altra parte, ci mette in grado non soltanto di rappresentarlo, il reale (ad
esempio sul video di un computer), ma anche di estendere - sia pure
fittiziamente - la potenza della nostra interazione con esso utilizzando appunto
la "ingenuità" dei nostri sensi. Il confine tra reale e virtuale si attenua mano
a mano che la nostra capacità di manipolazione dei fenomeni aumenta. Il computer
completa la possibilità di rappresentazioni "virtuali" nel loro divenire: la
simulazione non appartiene più solo al linguaggio, parla nella lingua di tutti i
sensi. Non è un inganno maggiore di quello che ci portiamo addosso da quando ci
siamo costituiti come specie: la differenza è che possiamo progettare e calarci
in questi simulacri di realtà sapendo che sono simulacri, ma anche che il loro
grado di realtà percettiva può non essere inferiore a quella fornita dai nostri
sensi demistificati. Se, in un esperimento di realtà virtuale, provo la
sensazione di volare senza ali, e questa sensazione investe tutto il mio sistema
percettivo (come accade in certi sogni), che differenza c'è se volassi
realmente?
Costruiamo perciò i nostri sogni, la nostra realtà: che questa sia
frutto dell'inganno dei sensi o dei "trucchi" che possiamo elaborare sulla base
della nostra esplorazione della materia, poco importa alla fine. Il reale,
l'origine delle impressioni dei nostri sensi, rimane evanescente come l'Ariel di
Shakespeare, catturabile solo (in parte) nelle astratte rappresentazioni della
scienza matematizzata. Senza di queste rimarremmo, come Ariel, immersi
nell'immenso, impenetrabile sonno dell'Universo.
Note
1 M. W. Krueger, Realtà artificiale, Addison-Wesley, Milano, 1992, pag 225.
2 G. Cavallini, La costruzione probabilistica della realtà (in corso di pubblicazione: Antitesi, Napoli, pagg 41 segg).
3 P. Zellini, La ribellione del numero, Adelphi, Milano, 1995, pagg 90 segg.
4 P. Bozzi, Fisica ingenua, Garzanti, Milano, 1990, pagg 29-30.
5 Vedi in
proposito Andrea
Paoloni e Paolo Talone,
I limiti della
percezione umana sono indispensabili per imitarla, in questo numero di
Telèma.