Immaginate un gigante
alto quattro metri, dalle sembianze in tutto umane salvo
che nelle dimensioni esagerate e proporzionate alla sua
statura. Il suo nome è Margutte, vaga per le strade del
mondo e non pensa che a soddisfare i propri sensi, a
bere e a mangiare fin quanto il suo corpo eccessivo non
sarà sazio; cinico e beffardo in ogni situazione, nemico
di ogni religione e filosofia, estraneo ad ogni tipo di
regola morale, è pronto a trarre vantaggio da qualsiasi
circostanza. L’unica forza dalla quale si lascia guidare
è quella dell’istinto, della vitalità naturale che lo
spinge ad appagare senza remore, e senza regole, i
desideri della carne.
Margutte è l’invenzione di
uno scrittore, frutto della fantasia di Luigi Pulci che
gli regala un posto tra i personaggi del suo poema
intitolato Morgante Maggiore, storia di
paladini e cavalieri, di lotte tra cristiani e musulmani
all’epoca di Carlo Magno, scritto a Firenze intorno al
1483, alle soglie del Rinascimento, in quell’atmosfera
culturale che è passata alla storia con il nome di
Umanesimo. Margutte morirà nel bel mezzo del poema,
trovando una fine adeguata al proprio stile di vita:
sarà soffocato dalle sue stesse risate, dal divertimento
che non riesce a controllare nel vedere una bertuccia
che ha calzato i suoi enormi stivali.
Ebbene,
proprio una simile situazione, un gigante che muore,
letteralmente, dal ridere, possiamo leggerla nel libro
di Neil Postman Divertirsi da morire. Con due
differenze sostanziali e qualche precisazione.
La
prima differenza è che, da una parte, le parole di Luigi
Pulci, i suoi personaggi e Margutte in particolare,
rappresentano una vitalità umana che vuole uscire dalla
fissità delle regole del Medio Evo per dedicarsi ad
un’umanità meno ideale che sappia guardare a tutte le
dimensioni della vita, compresi la sensualità e
l’appagamento degli istinti; dall’altra parte, Postman
non ci parla di un gigante che vuole appagare i propri
desideri, ma di una cultura che si dissolve, del
soffocamento del pensiero critico e razionale ad opera
di una società edonistica in cui la capacità di analisi,
di descrizione e di interpretazione della realtà si
perde nella dimensione pervasiva del divertimento,
divenuto non più un aspetto della nostra cultura, ma
elemento unico dell’esperienza. Il divertimento permea e
dà forma ad ogni istante della nostra vita, riducendo a
una forma di intrattenimento evasivo anche i discorsi
che hanno bisogno della riflessione ragionata per essere
compresi e per ricevere una risposta razionalmente
formulata da parte dell’opinione pubblica.
La
seconda differenza, alla prima strettamente legata, è
che la lettura che Postman compie della società
americana è costruita attorno alla centralità dei mezzi
di comunicazione. Pulci ci racconta una storia
fantastica attraverso la quale esplora lo spirito del
suo tempo, il mondo multiforme che si affaccia ad una
società che esce dal Medio Evo e si appresta a vivere
una nuova epoca di scoperte, di esperienze, di idee.
Postman, invece, vuole descrivere analiticamente il modo
in cui i media si pongono al centro di quel processo che
ha portato il divertimento ad impossessarsi della nostra
vita.
“Il medium è la metafora”, esordisce lo
studioso americano prendendo le mosse dalla famosa frase
di Marshall McLuhan. Ogni mezzo di comunicazione ha
delle caratteristiche che plasmano la forma del discorso
a cui danno luogo, e questa a sua volta influisce sui
contenuti intorno ai quali ruota e si concentra la
conversazione. Il medium quindi contribuisce a creare
una epistemologia, un modo attraverso il quale le
persone si pongono di fronte alla realtà, la guardano e
la interpretano per poi giungere ad una forma di
conoscenza, e l’analisi del mezzo di comunicazione che
domina un’epoca è lo strumento indispensabile a
comprendere come il sapere circoli nella società e che
rapporto si costruisce tra le persone e la realtà che le
circonda.
Seguendo questo ragionamento si arriva
ad un’opposizione tra quella che Postman definisce
la typographic mind, la mentalità tipografica
nata e sviluppatasi sotto gli effetti della stampa, ed
una mentalità modellata dallo schermo della televisione,
dalla veloce successione di immagini, dall’infinito
flusso di informazioni.
Che fine ha fatto, si chiede
Postman, il discorso razionale formato da argomentazioni
coerenti e lineari? Che posto ha nel mondo contemporaneo
la pubblica conversazione che si esponeva, nei tempi che
hanno partorito l’Illuminismo e la nascita delle moderne
democrazie, alla comprensione ed all’analisi di un
pubblico attento e critico in base alla sistemazione di
idee e di opinioni? Dove è finito “l’uomo tipografico”,
l’individuo che grazie ad una preparazione intellettuale
costruita attorno alla stampa, alla scrittura e alla
lettura, impostava la propria comprensione del mondo
intorno al confronto razionale, espressione di un
atteggiamento concettuale ed obiettivo, consequenziale e
raffinato?
Questo discorso, questa conversazione,
quest’uomo sono stati inghiottiti da una società nuova
che ha sostituito la comprensione con la visione, la
razionalità con l’intrattenimento in ogni sfera del
vissuto. La stampa, che è stata il mezzo di
comunicazione principe delle età dello sviluppo della
civiltà moderna, dell’affermazione delle libertà civili,
ha lasciato il posto alla televisione. Se
l’alfabetizzazione era garanzia e condizione necessaria
alla partecipazione ragionata al discorso pubblico,
nell’epoca della tv questo si è avvilito ad una forma di
divertimento, ad una sequenza rapida e sfuggente di
immagini che appaiono e scompaiono sulla superficie di
uno schermo lasciando subito il posto ad altre figure,
ad altre luci, ad altri colori. È la stessa forma
televisiva che produce questo cambiamento, è
l’assimilazione del reale attraverso la visione, anziché
per mezzo dell’interpretazione e della comprensione, che
trasforma la cultura, l’insieme delle rappresentazioni
del reale, in un palcoscenico fuggevole, inaccessibile
alla ragione e dominato dallo spettacolo. Ogni
espressione che voglia trovare spazio nell’ambito della
programmazione televisiva deve indulgere alla risata,
alla rilassatezza intellettuale, alla pigra fruizione
superficiale. Il mezzo-tv è il protagonista e l’artefice
di un mondo di rappresentazioni sfuggenti, in cui il
racconto della realtà perde il contesto, perde il tempo
necessario alla comprensione razionale, alla
chiarificazione dei problemi ed alla ricerca di
soluzioni efficaci.
La stampa chiede al lettore
il tempo di comprendere, lo sforzo di capire, l’abilità
di seguire un discorso analitico, di interiorizzarlo e
di produrre una interpretazione. La televisione riempie
ogni silenzio, bandisce la comprensione approfondita,
non ha il tempo di spiegare e contestualizzare ma
produce un flusso ininterrotto in cui alla tristezza si
sussegue il riso, alla tragedia la commedia, alla realtà
la finzione. Il palcoscenico è sempre lo stesso, le
scene si succedono in un circuito senza soluzione di
continuità.
Amico ed allievo di McLuhan, Postman ne
raccoglie così il pensiero e se ne fa erede, mantenendo
però un atteggiamento critico anche nei confronti dello
studioso canadese. Non assume, infatti, ciecamente ogni
conclusione ed ogni aspetto dell’autore di Understanding
Media, quello che interessa di McLuhan non sono le
conclusioni e le risposte che ha dato a certi
interrogativi, ma la domanda stessa che ha posto al
centro dei suoi studi e che rappresenta il nucleo
centrale di tutto il pensiero di Neil Postman.
La cosa essenziale per capire il mondo in cui
viviamo è chiedersi se la forma di un mezzo di
comunicazione influisce ed in che modo sulle relazioni
sociali, sulle idee politiche, sui comportamenti
mentali, sul nostro apparato sensoriale, in definitiva
sul rapporto tra le persone ed il mondo. Studiare i
media vuol dire quindi studiare non solo le macchine e
come funzionano, ma anche, e soprattutto, l’interazione
tra la forma e la struttura delle macchine e gli uomini,
la loro cultura, la loro società.
Da questa idea è
nato il progetto di ricerca in “Ecologia dei Media” che
Postman dirige alla New York University e che prende il
nome proprio da un’intuizione di McLuhan: i media creano
un ambiente simbolico, sono capaci cioè di dare forma ad
atteggiamenti ed esperienze, producono cambiamenti nella
cultura; riuscire a capire e a leggere questi
cambiamenti è indispensabile alla comprensione della
realtà e delle dinamiche che
l’attraversano.
Uscito per la prima volta negli
Usa nel 1985, al tempo della seconda vittoria elettorale
di Ronald Reagan alle presidenziali, Divertirsi da
morire avrà certamente tratto spunto da quella
situazione, dall’affermazione di un presidente che era
stato un attore di Hollywood. Ma a guardar bene, dopo
oltre quindici anni, il libro non è affatto invecchiato
e conserva una sua freschezza perché vuole descrivere la
televisione come medium, con la sua struttura ed i suoi
effetti, ed inoltre è portatore di un’idea forte,
radicata e ragionata, che attraversa tutta la produzione
libraria di Postman. È un’idea che riguarda la
comprensione del mondo e dei rapporti tra le persone,
che riguarda la critica come atteggiamento analitico nei
confronti di una realtà per descriverne la natura e
metterne in evidenza le caratteristiche, è un’idea che
riguarda la scuola e le istituzioni educative, la
tecnologia e come affrontare i cambiamenti che
ossessionano i nostri pensieri sul futuro. Tutti temi
questi che, per quanto possano apparire diversi e
lontani tra loro, si intrecciano saldamente nella
scrittura del professore americano e proseguono,
paralleli ed avvinti, lungo un unico filo. Ma cerchiamo
di procedere con ordine.
Alcuni libri che
Postman ha scritto (i titoli principali sono The
Disappearence of Chidhood, The End of Education e
Teaching as a Subversive Activity) riguardano il
tema della scuola e dell’educazione. L’idea centrale di
queste pubblicazioni è che il modo in cui uno Stato
programma e gestisce l’educazione dei bambini sia lo
specchio di un popolo, della sua civiltà. Guardando alla
scuola americana ed ai principi che il suo funzionamento
trasmette agli allievi, Postman individua l’esistenza di
alcune idee che le istituzioni scolastiche trasmettono
ai bambini e che da questi vengono assunte come delle
tracce sulle quali impostare la vita quando saranno
adulti.
Questi “dei”, così li chiama l’autore,
rispondono alle norme dell’utilità economica e del
consumo attraverso le quali si preparano i bambini ad
entrare nel mondo economico e ad immaginare una vita
completamente impostata secondo la più spicciola logica
della proprietà, secondo la quale le persone valgono per
quello che possiedono e non per quello che sono o che
pensano. Il secondo dio che guida l’educazione dei
piccoli americani è quello che spinge la scuola
all’ossessione della tecnologia, presentata come
elemento preponderante della società contemporanea da
assecondare e da seguire in ogni sua manifestazione; un
altro dio è quello del separatismo, dell’individualismo
che presenta ai bambini un mondo in cui le persone
stanno le une contro le altre guidate dalla logica del
profitto personale.
Di fronte a questi racconti
della realtà, condannati come assolutamente inadeguati
alla formazione di membri della società civili e
responsabili nei confronti degli altri e dell’ambiente,
Postman propone tre nuove narrazioni, descrizioni
innovative per dipingere agli occhi dei bambini un mondo
al quale possano partecipare con spirito di
responsabilità e di solidarietà.
La prima delle nuove
narrazioni è quella che l’autore chiama “Storia
dell’astronave Terra”. Raccontare il pianeta come una
delicata navicella che attraversa lo spazio può essere
utile a creare una coscienza dell’umanità, della
responsabilità collettiva che gli individui hanno nei
confronti del mondo e degli uomini perché se una parte
dell’astronave non funziona, tutto l’equipaggio ne
subisce le conseguenze.
Altro racconto è quello
della “Storia degli angeli caduti”, secondo la quale gli
uomini non sono che degli esseri imperfetti che non
hanno il dono dell’infallibilità, ma, al contrario,
l’errore fa parte della loro natura. Una terza
narrazione è quella che vuole descrivere “L’America come
un esperimento”: una visione di questo tipo della
propria storia nazionale, saprà trasmettere ai giovani
americani il sentimento della nazione, senza lasciarlo
sconfinare nel nazionalismo che vuole vedere gli altri
stati inferiori agli Usa. Questi invece sono visti come
una realtà nata da processi che non sono affatto
definitivi ma che sono un continuo
divenire.
Attraverso questa nuova impostazione, la
scuola potrebbe soddisfare i pilastri principali che ne
costituiscono il fondamento. L’educazione dovrebbe
innanzitutto trasmettere agli allievi la capacità di
assumere un atteggiamento critico, e mai passivo, di
fronte alla realtà, in modo tale da individuare problemi
e porre domande. Gli strumenti che si hanno a
disposizione per realizzare tale obiettivo educativo
sono principalmente due: lo studio della storia e del
linguaggio. Dalla storia si possono ricavare le idee che
possiamo utilizzare per interpretare il nostro presente,
capirlo e trovare una direzione verso la quale
indirizzare la soluzione dei problemi. Il linguaggio è
invece lo strumento dell’espressione, della
comunicazione e dell’interazione tra le persone, il
veicolo della comprensione e della manifestazione delle
idee e delle opinioni.
L’atteggiamento di Postman
di fronte alla tecnologia ed alla concezione che di essa
si ha nelle contemporanee società avanzate, è l’oggetto
dei libri più recenti ed ha risalto soprattutto in
Technopoly. The Surrender of Culture to
Technology.
Le parole dell’autore di
Divertirsi da morire sono animate qui da una
preoccupazione che nasce dalla mancanza di un
atteggiamento critico nei confronti dello sviluppo
tecnologico. Questo sembra essere considerato da alcuni
studiosi con un entusiasmo che porta alla confusione tra
l’efficienza delle macchine e le umane capacità di
valutazione. Sembra diffondersi l’idea che
l’implementazione, continua e smisurata, di sistemi
informatici capaci di trattare e trasmettere quantità
sempre maggiori di informazioni ad una velocità sempre
più alta possa essere la soluzione a problemi che
coinvolgono ogni sfera della condizione umana.
Già
Alvin Toffler, con la sua Terza Ondata, aveva predetto
che in un futuro non molto lontano le differenze tra
Nord e Sud del Mondo sarebbero scomparse grazie ai
sistemi informatici ed alla libera circolazione
dell’informazione. Pierre Lévy, dalla Francia, ci aveva
parlato di una democrazia planetaria in cui, grazie
all’efficienza delle reti telematiche, gli intelletti
dei singoli si sarebbero uniti in un’intelligenza
collettiva, espressione del sapere universale in cui
ciascuna persona avrebbe potuto partecipare direttamente
ed attivamente alla gestione della propria realtà.
Lawrence Grossman aveva invece affermato che i tempi
erano maturi, con le nuove tecnologie digitali, per la
realizzazione di una repubblica elettronica in cui ogni
cittadino potesse esprimere il proprio parere da casa
sua, comodamente seduto di fronte al computer, o magari
davanti ad una tv interattiva. Nicholas Negroponte, da
quella fucina di innovazioni che è il Mit di Boston, ci
aveva raccontato che la materia perderà progressivamente
di importanza a vantaggio dei bit, delle informazioni
ridotte a sequenze di zero e di uno che saranno i veri
protagonisti delle nostre esperienze, dalla spesa al
supermercato al convegno con i massimi esperti di
qualsivoglia materia.
Ecco citati alcuni
esempi, i più famosi ed eclatanti, di quel determinismo
tecnologico di coloro che credono che il cambiamento
affidato alla tecnologia sia portatore spontaneo e
naturale di soluzioni a problemi che assillano il genere
umano da secoli.
Da queste visioni scaturisce quella
società che Postman chiama “tecnopolio”, il mondo visto,
condotto ed interpretato dalla tecnologia. Una realtà in
cui nella dovizia inesauribile di informazioni si perde
la riflessione, nel bombardamento incessante di dati e
di innovazioni si dissolve la capacità di guardare alla
condizione umana in un modo problematico capace di
interpretarla con senso critico.
Jacques Ellul ha
paragonato la tecnologia ad una religione il cui dio è
l’efficienza, i sacerdoti sono gli economisti ed i servi
fedeli sono i tecnici. La versione avanzata da Postman è
quella di uno scetticismo ragionato che sappia guardare
alle innovazioni non come a miti, nel senso che Barthes
ha dato a questa parola, non cioè come a elementi che
fanno parte di un ordine naturale delle cose, ma come ad
artefatti ideati, prodotti e costruiti in uno specifico
contesto politico, economico, storico. Da questo punto
di vista la tecnologia appare piuttosto come un
contratto faustiano, che dà e che toglie. Così è stato
per la scrittura, per la televisione e per tutte le
tecnologie della comunicazione. Nella consapevolezza che
il mutamento tecnologico produce nella società dei
cambiamenti radicali, e nel computo dei vantaggi e degli
svantaggi che accompagnano questi cambiamenti, sta la
possibilità di vivere il progresso senza abbandonarsi
ciecamente in balia delle trasformazioni, fiduciosi che
queste siano spontaneamente
positive.
L’information overload,
l’assuefazione al mare magnum di informazioni reca la
conseguenza, visibile ed innegabile, che il presente
sfugge ad una lettura coerente, alla pausa di una
riflessione che sappia compiere un’analisi puntuale
della realtà che viviamo. I fatti corrono sotto i nostri
occhi, sfrecciano veloci davanti alla nostra
comprensione, non ci resta che vederli senza il tempo di
interpretarli. L’attenzione si proietta allora al
futuro, all’immagine che verrà dopo quella che stiamo
vedendo ora, alla notizia che seguirà, allo spot che
sarà messo in onda tra un attimo, al programma
successivo. Il futuro diventa l’ossessione del nostro
tempo, l’ambizione da rincorrere senza uno scopo
condiviso, senza una narrazione coerente e comprensibile
dell’esistenza umana, senza una continuità con la
storia. Il futuro diventa uno spettro da inseguire privi
di ogni centro di riferimento, spaesati in un mondo di
caleidoscopiche rappresentazioni: rapide, labili,
provvisorie.
Per capire il nostro presente ed
affacciarci ai tempi che verranno, Postman propone di
guardare indietro, di rivolgerci al passato per trovare
lì, nel patrimonio dei fatti accaduti, nell’eredità di
idee affermate e conosciute, una mentalità che sappia
guidarci nella costruzione dei nostri tempi e nella
realizzazione di narrazioni coerenti con le nostre
esigenze.
Il più recente libro di Postman si intitola
Building a Bridge to the 18th Century: How the Past
can Improve Our Future; l’idea è quella di
ripensare al secolo dell’Illuminismo, all’epoca che ha
affermato i valori che sono alla base della nostra
società, tornare con la mente ai tempi che hanno visto
nascere e svilupparsi le libertà di pensiero, di parola,
di espressione, di religione, andare a guardare come
queste idee hanno incontrato il terreno concreto della
realizzazione e vedere come la ragione, l’osservazione,
il pensiero analitico fossero gli strumenti di queste
realizzazioni, come la parola fosse lo strumento
dell’espressione circostanziata e ragionata, come il
confronto delle idee fosse il presupposto necessario
all’emancipazione della conoscenza umana.
La
storia come discorso da proseguire, come esperienza da
conoscere e da assumere nell’analisi del presente e
nella progettazione del futuro; il linguaggio come mezzo
di una comunicazione razionale e consequenziale, come
espressione di un pensiero meditato che si confronta
criticamente con la realtà. Ecco le idee che guidano gli
studi di Neil Postman nella loro duplice direzione. Da
una parte l’importanza essenziale della scuola nella
ferma convinzione che, con le parole di Rousseau, la
cura e l’edificazione dei bambini debbano essere
considerate come un investimento nel nostro futuro
collettivo. Dall’altra il ruolo della tecnologia che va
inquadrata nella sua dimensione ecologica, nella sua
capacità di cambiare radicalmente l’ambiente in cui
nasce e di creare nuove regole, nuovi simboli.
In
questo cambiamento, suggerisce Postman, è essenziale
gaurdare al passato per recuperare il pensiero, per non
lasciare che il discorso pubblico dimentichi le
argomentazioni ed il ragionamento annegando nella
superflua rapidità dei sound bytes, delle battute ad
effetto che mirano alla persuasione emotiva piuttosto
che alla chiarificazione e all’espressione razionale
delle opinioni. Recuperare l’atteggiamento critico nei
confronti della realtà, la competenza nell’uso della
parola e del raziocinio quali veicoli delle idee,
appaiono allora come gli strumenti necessari per non
fare la fine di Margutte: per non morire dal
ridere.
Libri di neil Postman tradotti in
italiano:
N. Postman e S. Powers, Come guardare il
telegiornale, Armando, Roma, 1999.
N. Postman,
La fine dell'educazione. Ridefinire il valore della
scuola, Armando, Roma, 1997.
N. Postman,
Technopoly. La resa della cultura alla
tecnologia, Bollati Boringhieri, Torino, 1993.
N. Postman, La scomparsa dell'infanzia. Ecologia
delle età della vita, Armando, Roma, 1991.
N.
Postman, Ecologie dei media, Armando, Roma,
1991.
N. Postman, Provocazioni, obiezioni di
coscienza in tema di linguaggio, tecnologia,
educazione, Armando, Roma, 1989.
N. Postman e C.
Weingartner, L'insegnamento come attività
sovversiva, La Nuova Italia, Firenze,
1975.