Il testo che segue l'intervento
tenuto da Giancarlo Bosetti in apertura del convegno "Il futuro dei giornali.
Senza stampa che democrazia sarebbe?" organizzato dalla
rivista "Reset" e svoltosi il 31 marzo presso
l'auditorium del Goethe Institut di Roma.
In che misura l'Europa ha una
reale omogenea sfera pubblica e dentro di essa una
embrionale, unitaria opinione pubblica? La prossima
campagna elettorale per il Parlamento europeo sar
contemporanea in tutti i paesi dell'Unione, ma quanto
sar davvero europea intorno ai temi della Costituzione,
della politica estera, delle questioni economiche,
ambientali, della sicurezza e quanto sar invece intorno
a Schroeder in Germania, a Berlusconi in Italia, a
Raffarin in Francia? Quali le identit e quali le
differenze tra i paesi europei? Chiunque si occupi di
comunicazione e giornali si imbatte in modo ossessivo,
per l'Italia, nell'evidenza di uno squilibrio, di un
ritardo dimostrato da fatti per i quali necessario,
inevitabile parlare di una anomalia italiana.
Quattro punti italianiI fatti si
possono raggruppare in questi quattro
punti:
1.La vendita dei giornali che
in Italia bloccata intorno a una cifra che non riesce
a salire se non di pochissimo sopra il 10% nel rapporto
copie/popolazione, una percentuale che si potrebbe
definire "mediterranea" per i partner con cui la
condividiamo (Grecia e Spagna), ma che anomala se
consideriamo la posizione dell'Italia nella produzione
di reddito: siamo il settimo paese al mondo per prodotto
lordo e nel Pil pro capite annuo distanziamo
notevolmente Spagna e Grecia (19.000$ contro 14.500 e
11.000) e siamo piuttosto vicini alla Germania (22.500
$). Per leggiamo poco come i primi due paesi (meno
della Spagna e pi della Grecia), e siamo lontanissimi
dalla vendita di giornali della Germania (28,9%
copie/abitanti).
2.La ripartizione
della pubblicit che trasferisce risorse alla
televisione in misura maggiore di quanto non avvenga in
nessun grande paese al mondo. Pensate che l'incidenza
gi eccezionale, da record, della televisione sul totale
del fatturato pubblicitario passata da novembre 2002 a
novembre 2003 ( l'ultimo rapporto Nielsen) dal 53,7% al
54,7% e che il volume totale della pubblicit tv
aumentato del 4%, da 3.639 milioni di euro a 3.783,
mentre il totale della stampa sceso dell'1,1 %, i
quotidiani meno 2%. La percentuale di pubblicit
destinata alla televisione del 36% negli Stati Uniti,
il paese della maggiore fioritura della tv commerciale e
del 23% in Germania, anche qui estremo opposto a quello
italiano. Si tratta di differenze abissali che indicano
dunque opinioni pubbliche profondamente diverse per
qualit, linguaggio, stile comunicativo, contenuti,
saperi.
3.La non concorrenzialit della comunicazione
commerciale il terzo fattore che, solo, pu spiegare
il secondo. In questo campo l'Italia ha "un basso grado
di concorrenza, un basso livello di pluralismo e un alto
tasso di concentrazione". Nei grandi paesi europei in
generale tre o quattro soggetti competono per
accaparrarsi le risorse pubblicitarie televisive; da noi
due imprese, Rai e Mediaset si dividono il 90% degli
ascolti e il 95% delle risorse. Si tratta di una
situazione monopolistica che impedisce al mercato di
dispiegare i suoi benefici e che si traduce in
dilatazione della pubblicit in tv a tariffe basse,
elevato numero di canali generalisti nazionali ma
polarizzati su due soli soggetti, pressione per un
affollamento pubblicitario che, con la recente legge
voluta dalla maggioranza di governo, attraverso quella
forma di pubblicit che sono le telepromozioni, andrebbe
ben oltre il 20% delle direttive europee. La concorrenza
delle imprese in questo settore strategico della
comunicazione di fatto sospesa da decenni, ma questa
eccezionalit non accolta con scandalo dalla opinione
nazionale, come avviene per episodi di "posizione
dominante" che riguardano la sfera politico-culturale
(direzioni di tg, conduzioni di popolari trasmissioni
informative etc.), che qui non voglio neanche
menzionare, ma di fatto le posizioni monopolistiche
sottraggono risorse alla comunit. Nel caso specifico
sottraggono risorse alla stampa.
4.Le
contraddizioni della politica a destra e a sinistra
concorrono per una grandissima parte a spiegare le
anomalie di cui stiamo parlando. C' qui una seria
difficolt perch ogni accenno a monopoli e deficit di
pluralismo nella comunicazione in Italia rischia di
essere sospetto in quanto argomento dell'opposizione nei
confronti del governo e di finire nel vortice del
quotidiano scambio di accuse. Vorrei ripulire il campo
da questi sospetti. L'iniziativa di "Reset" non una
iniziativa della opposizione e nemmeno della
maggioranza, ma intende mettere a fuoco un serio
problema strutturale, un aspetto fragilissimo della
costituzione materiale di questo paese, che ha gi
dimostrato di non cambiare con i cambi di maggioranza.
Si tratta di una contraddizione della politica
democratica nell'epoca delle comunicazioni di massa e
dello show business che l'Italia condivide, anche se in
forma pi acuta, con gli altri paesi occidentali, tutti
in questo potenzialmente fragili:
1) crisi delle
vecchie forme del pluralismo organizzato,
2) calo
della partecipazione politica,
3) aumento dei costi
della comunicazione, e quindi
4) irresistibile
attrazione dei partiti per la televisione, un "richiamo
della foresta" che diventa
5) un bisogno
inestinguibile di controllare le leve del potere
mediatico, di "mettere sotto" i gate-keepers della
visibilit e della fama.
Questa pressione
"esistenziale" della politica ha spinto in Italia a
interpretare il servizio pubblico televisivo come
funzione "occupata" dai partiti e questa "occupazione"
come un diritto democratico. Si tratta di un grave
errore di cultura politica su cui la nostra rivista ha
insistito in questi anni insieme ad alcuni illuminati
amici, non estranei alla politica, una minoranza a cui
vedrete che si finir per dare ragione: neutralizzare e
amministrativizzare la Rai, e privatizzarla in tutto o
in parte, sottraendola a un malinteso spoil-system.
Sarebbe un contributo importante all'avvio dello
smantellamento del duopolio.
Qualche
valutazione su stampa e democraziaIllustrata la
anomalia italiana in quattro punti, veniamo al rapporto
tra stampa e democrazia. molto importante, ed tra i
fattori che inducono qualche speranza in un campo dove
pure le cose tendono a non cambiare mai, che negli
ultimi mesi, anche per iniziativa della Fieg si sia
cominciato a insistere sul rapporto tra i giornali e la
democrazia - il titolo del nostro incontro. Anche in
presenza di una tendenza che persiste, come abbiamo
visto, a indebolire ulteriormente la stampa. Nei giorni
scorsi commentando l'approvazione alla Camera della
legge Gasparri, i grandi quotidiani esponevano in modo
univoco le loro critiche, che condivido pienamente,
(Massimo Lucani sulla Stampa, Giovanni Valentini sulla
Repubblica e Dario Di Vico sul Corriere della Sera)
tutti richiamando le parole del presidente della
Repubblica dedicate a ricordare "la energica tutela" che
la Costituzione accorda alla stampa e il rapporto
strettissimo che lega l'esistenza di una stampa libera e
forte ad una democrazia rappresentativa matura e ben
funzionante.
Democrazia deliberativa
Che democrazia sarebbe senza giornali, o con
pochi giornali, o con giornali poco liberi? Nessuna o
molto poca, si pu rispondere. Possiamo anche
rispondere, sul piano della teoria della comunicazione,
utilizzando la metafora di Postman: la democrazia
"tipografica" perch "tipografica" la mentalit del
cittadino elettore che stato messo alla base della
invenzione di questo sistema politico. E la mentalit
"tipografica" comporta un corredo di qualit che
Bertrand Russell catalogava sotto il titolo di
immunity to eloquence, (impermeabilit alla magia
delle parole). "To acquire immunity to eloquence is of
the utmost importance to the citizens of a democracy"
la battuta che gli viene attribuita. Questa immunit si
acquisisce appunto con il sapere e dovrebbe essere uno
degli obiettivi del processo formativo. Se le democrazie
facessero dei sogni sognerebbero un cittadino-lettore.
Che cosa deve saper fare questo cittadino ideale della
democrazia? Postman ha fatto una lista delle qualit
richieste:
sapere restare immobile davanti a un pezzo
di carta per il tempo necessario senza
distrarsi;
impadronirsi del significato delle parole;
distinguere la logica dell'argomentazione dal
piacere estetico della lettura;
capire dal tono del
linguaggio l'atteggiamento dell'autore verso un
argomento;
sospendere il giudizio fino a che
l'argomentazione non finita;
tenere a mente le
domande fino a quando non si stabilito se il testo
fornisce le risposte;
confrontare con l'autore le
proprie esperienze valide ma sapendo trascurare quelle
non pertinenti, che non hanno peso;
sbarazzarsi di
ogni credenza che le parole siano magiche;
imparare a
trattare il mondo delle astrazioni;
orientarsi senza
illustrazioni.
Scusate questa escursione
nell'area dei temi cari alla cultura della "democrazia
deliberativa", di quella cultura che propongo di
chiamare cos con il linguaggio delle scienze politiche
(James Fishkin,
La nostra voce, Reset-Marsilio,
con introduzione di Giuliano Amato, o anche
Bosetti-Maffettone,
Democrazia deliberativa. Cosa
, Luiss University Press, di prossima uscita). Si
tratta di nient'altro che della cultura della
discussione pubblica. Se abbiamo cara la democrazia, con
il realismo di chi ne conosce le imperfezioni a tutte le
latitudini, ma anche con la convinzione che le
imperfezioni possono essere contenute entro certi
limiti, dobbiamo preoccuparci di conoscere meglio
l'opinione pubblica, la quantit e qualit di
informazioni che ha disposizione, dovremmo fare del
sistema informativo un tema dell'agenda pubblica non
solo per disputare di par condicio e di equilibri nel
minutaggio dei partiti. Democrazia deliberativa, ha
spiegato John Rawls, in fin dei conti sinonimo di
democrazia costituzionale. Nient'altro che
questo.
Per competere nella
knowledge-economyIl cittadino-lettore un
homo sapiens esemplare, direbbe Giovanni Sartori,
l'esatto opposto del telespettatore ideale della
mass-audience, o
homo videns. E il numero degli
esemplari in circolazione interessante per tutti noi
in Europa. Ma con la mentalit "tipografica" non in
gioco soltanto l'elemento nucleare, di base, del sistema
politico, ma anche l'individuo base della societ e
dell'economia. Non si tratta qui solo di preoccuparsi
della qualit politica della opinione pubblica
(cittadini informati degli affari pubblici, capaci di
giudicare con competenza governi e amministrazioni
locali, partiti e leader), ma anche del dinamismo
economico e imprenditoriale di una societ nell'epoca
della
knowledge-economy: velocit nel raccogliere
informazioni, apertura verso orizzonti internazionali,
capacit di collegare notizie e di congiungere realt
lontane tra loro in progetti coerenti, visione d'insieme
dei processi produttivi ed economici, capacit di
cogliere le differenze dei contesti politici e
culturali. Come possiamo immaginare un individuo attivo
e bene inserito nella economia del nostro tempo se non
legge il giornale? Come pu una economia competere nel
nostro tempo se il livello generale delle informazioni
non pi alto di quello consentito da 5 milioni 800
mila copie di quotidiani per 58 milioni di abitanti che
siamo? E i segmenti dell'economia nei quali l'Italia ha
dimostrato di avere pi possibilit di successo non sono
quelli dove pi alto l'apporto della creativit, della
conoscenza del mondo, del sapere organizzativo, della
inventiva nello scoprire mercati? Non dunque il caso
di cercare di espandere queste nostre virt per evitare
di perdere terreno?
Un'economia efficiente e una
democrazia forte hanno bisogno di una maggiore
circolazione di informazioni anche per un'altra ragione:
le questioni sull'agenda sono sempre pi tecnicamente
complesse e controverse, le variabili da considerare
nella vita pubblica sono aumentate di numero, sempre
pi difficile per tutti capire la natura dei problemi e
la rosa delle soluzioni possibili: dalla politica estera
alla biogenetica, dalla riforma delle pensioni alla
fecondazione artificiale chi non attento e informato
fuori dal discorso pubblico.
Un film non
italiano Immaginate un film del quale non sapete
dove sia ambientato ma che comincia cos: suona la
sveglia, le sette, doccia, caff in cucina, un giornale
sul tavolo, una mano va al caff, poi al tostapane,
l'altra al giornale, sguardo alla prima pagina. Non
vedete la testata del giornale, ma sicuramente avete
istintivamente capito che lq storia di quel film non si
svolge in Italia. Non una scena italiana, a meno che
il protagonista sia qualcuno che appartiene alla lite
dotata del privilegio altissimo ed esclusivo di avere i
giornali in casa il mattino presto: direttori, top
manager, procuratori generali di cassazione, fate voi. A
Tokyo, Amsterdam, Amburgo, Kansas City, invece, questa
scena riguarda l'impiegato come il commerciante, la
maestra d'asilo come il costruttore edile. Gli abbonati
al giornale quotidiano sono da noi una rarit. E
abbonamento significa forza economica, continuit del
"contratto di lettura", significa ovviamente,
hegelianamente, "preghiera del mattino dell'uomo
moderno".
Met degli europei inizia la sua
giornata con quella "preghiera", ma questa met il
risultato di una media. E ci sono in Europa paesi che
alzano la media e altri che la abbassano, c' la Svezia
e c' la Finlandia (ci sarebbe la Norvegia che per
fuori dalle statistiche e dall'Unione europea) con il
loro quasi 80% e ci sono paesi che fanno precipitare la
media, come il Portogallo. L'Italia piombo puro, in
senso non tipografico, sulle medie europee di lettura
dal momento che un paese che pesa per dimensioni
demografiche (abbiamo lo stesso peso del Regno Unito) e
che non legge, meno di un terzo (30,6%) legge giornali
(conquistandoselo faticosamente nelle edicole) con
regolarit, un altro 16,7 lo legge 3-4 volte la
settimana.
Le famose bufale sui giornali
italianiDue parole sono necessarie sul tema
della qualit dei giornali. Nelle condizioni di un
mercato ristretto come quello italiano, le aziende
editoriali, i giornalisti hanno dato una buona prova.
sempre utile la riflessione critica sulla qualit della
stampa italiana, ma le tesi di coloro che sostengono che
i giornali si vendono poco in Italia perch sono fatti
male, "omologati", "vicini al palazzo" e via dicendo,
sono ingenue, banali e sbagliate. Sono bufale,
distolgono dal problema (i quattro punti italiani di cui
sopra).
La formula "omnibus", del giornale per
tutti, destinato a tutte le fasce sociali e a lettori di
diversi livelli di cultura, stata sviluppata in modo
fiero e originale ad opera di direttori e corpi
redazionali che hanno spinto fin dove era possibile la
competizione con la televisione, e anche oltre: sviluppi
infografici, moltiplicazione delle sintesi e degli
strumenti ausiliari, il background, la ricapitolazione
degli eventi, la tecnica del "primo sfoglio", la
scomposizione della notizia ed il suo sviluppo da
diverse "entrate", la capacit non solo di informare e
commentare ma anche di intrattenere. Si tratta di una
direzione di lavoro che per molti aspetti ha anticipato
gli sforzi che ora sta compiendo la stampa di altri
paesi europei, come la Gran Bretagna, pure attestati su
livelli di diffusione pi alti. Il risultato che i
grandi quotidiani italiani nati come giornali della
classe dirigente, per una fascia di pubblico ristretta,
si sono modificati in direzione di un pubblico pi vasto
e popolare mescolando nuovi ingredienti alla loro natura
di giornali di qualit, o di lite (paragonabili in
origine per questo aspetto ai loro corrispettivi
tedeschi,
Faz o
Sueddeutsche, o inglesi,
Guardian,
Times,
Indipendent)
introducendo linguaggi e temi di un giornalismo pi
accessibile. Questo ha prodotto per alcuni dei maggiori
giornali italiani (
Corriere,
Repubblica,
Sole24ore) livelli di tiratura e vendita in
assoluto superiori (quasi il doppio Repubblica e il
Corriere) ai giornali stranieri citati. Ma questa
parziale invasione delle fasce di pubblico pi popolari
riguarda solo poche testate, non riesce a raggiungere la
grande prateria di pubblico che in Germania e
Inghilterra servita dai
tabloids e che in
Italia servita solo ed esclusivamente dalla
televisione.
Quale funzione per i tabloid
Una delle ragioni dell'interesse per il
confronto con la Germania riguarda il tema della
funzione di una stampa forte come quella tedesca (e
americana e inglese) di quotidiani e settimanali
destinati alle fasce pi istruite della popolazione, ma
anche di tabloids potentissimi come la
Bild e il
Sun. Un dualismo che da noi tra stampa e
televisione altrove tra stampa di lite e stampa
popolare. Credo che vada accantonato il giudizio, da noi
corrente e consolatorio, in base al quale la natura dei
tabloid, il loro scandalismo, sensazionalismo etc.
rendano preferibile non averli. un argomento
tipicamente da esopiana "uva acerba". Approfondiremo il
giudizio su queste differenze, ma non possiamo non
mettere subito nel conto che il potere della
comunicazione nei paesi dove la stampa raggiunge quelle
alte tirature a noi sconosciute ripartito su un numero
maggiore di soggetti e imprese.
Gli editori
come sistemaVoglio infine proporre ai grandi
gruppi editoriali, a tutte le grandi testate
giornalistiche e alla Fieg che le rappresenta, l'idea
che, continuando le aziende a competere tra loro,
potrebbero agire su questo punto in quanto sistema,
potrebbero proporsi di dare pi forza alla azione per un
riequilibrio dei rapporti tra stampa e televisione nel
campo della pubblicit e per aprire dei varchi nuovi in
quella strozzatura del 10% copie/popolazione, che sembra
talvolta una barriera storicamente insuperabile.
Ho fornito argomenti per spiegare come questa
pressione sia utile al sistema democratico e al
dinamismo della societ italiana. Spero si possano
costruire iniziative periodiche per portare
all'attenzione di tutti il tema della opinione pubblica,
della qualit e quantit di informazione che essa ha a
disposizione, per monitorare i livelli di informazione,
per promuovere confronti internazionali, per verificare
la fiducia del pubblico nei confronti dei vari media,
per sperimentare nuove forme di sondaggio sia attraverso
i giornali che attraverso la televisione, per stimolare
nuove ricerche nelle universit, per introdurre e
diffondere i temi della cultura deliberativa in Europa.
E per favorire la nascita di nuove iniziative editoriali
avendo creato le condizioni materiali perch questo sia
possibile.
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