Molti ritenevano che il rapido sviluppo delle comunicazioni on line potesse rappresentare un pericolo per le relazioni umane. Si temeva l'emergere di un nuovo tipo di individuo, completamente autistico, in grado di relazionarsi con il mondo esterno soltanto attraverso il computer. In realtà la tecnologia informatica ha offerto possibilità finora impensate per comunicare con gli altri.
Ormai possiamo tranquillizzarci: la visione di un individuo isolato, ridotto
a una condizione autista dal rapporto con il computer e la realtà virtuale che
molti, me compreso, temevano fosse il corollario dell'evoluzione informatica, si
è rivelato più un pericolo immaginario, o circoscritto a casi limite, che una
prospettiva concreta. Semmai potremmo dire con Marshall McLuhan che una tale
evenienza sia stata scongiurata proprio dal progredire dell'era elettronica,
assieme ad altri scompensi causati dalla tecnologia, determinati da "eccedenze
residue" dell'era meccanomorfa.
Il formidabile sviluppo delle comunicazioni e
degli scambi attraverso la rete piuttosto che intaccare la sfera dei rapporti
umani l'ha, a mio parere, incrementata. Sia da un punto di vista qualitativo che
quantitativo. Un altro luogo comune da sfatare, infatti, riguarda la qualità
delle relazioni umane intrattenute nel ciberspazio, che non sono assolutamente
fredde e impersonali, come si è portati a credere, a causa dell'utilizzo del
computer. E nemmeno deresponsabilizzanti, come la possibilità di nascondersi
nell'anonimato potrebbe far pensare.
Uno studio condotto negli Stati Uniti ha rivelato, per esempio, che
moltitudini di individui si avvalgono della posta elettronica o della chat-line
come strumento per un primo approccio relazionale con gli altri. I dati
statistici parlano del 52% degli uomini e ben il 72% delle donne, cifre che
sembrano attestare, almeno per quanto riguarda i primi incontri, una preferenza
per i rapporti on line rispetto alle conoscenze vis à vis, cui tuttavia
si arriva nel 33% dei casi.
La distanza fisica dall'altro, se da un lato
sembra "sospendere" l'elemento fondamentale della corporeità dai rapporti
interpersonali, all'opposto consente di rivedere e selezionare l'approccio più
adeguato e di mettersi al riparo dalle inevitabili forze inibitorie
dell'insicurezza. Senza contare i vantaggi che ci derivano dalla possibilità di
immaginare il partner e di "modellarlo" a nostro piacimento, dirottando la
conversazione dagli argomenti che ci risultano sgraditi.
Altro esempio rivelatore dell'effetto propulsivo del mezzo telematico sui rapporti interpersonali sono le comunità virtuali, il cui esponenziale sviluppo sembra, tra l'altro, essere andato di pari passo con quello generale dei contatti e delle interazioni di ogni tipo. E forse non è un caso che proprio i soggetti considerati più a rischio, ovvero gli utenti abituali di Internet, studenti, ricercatori, commercianti, intellettuali, siano anche quelli che più si spostano e incontrano gente. In effetti, i nuovi mezzi di comunicazione telematici non hanno soppiantato quelli più tradizionali, dalla posta cartacea al telefono, ma hanno semplicemente ampliato il campo delle possibilità. E soprattutto, non hanno avuto quell'effetto di totale risucchio nel virtuale (oltre tutto talvolta confuso con l'irreale), di dissolvimento della dimensione materica, corporea in quella "impalpabile" del digitale, dell'elettronica.
Invero, con la cibercultura, come ha osservato uno dei suoi fautori, Pierre
Lévy, «si esprime l'aspirazione alla costruzione di un legame sociale, che non
sia fondato né su appartenenze territoriali, né su relazioni istituzionali, né
su rapporti di potere, ma sul radunarsi intorno a centri di interesse comuni,
sul gioco, sulla condivisione del sapere, sull'apprendimento cooperativo, sui
processi aperti di collaborazione»1.
Indubbiamente, per molti il ciberspazio rappresenta anche una via di fuga da
una realtà frustrante e, di per sé, alienante. Un'evasione dalla banalità del
quotidiano, di un'esistenza incanalata su strade predefinite, su modelli imposti
dall'esterno e di cui non si comprende il senso. E' il caso di chi si appassiona
ai cosiddetti Mud (Multi user dungeon), giochi di simulazione cui si partecipa
attraverso la rete, che permettono di creare mondi alternativi nei quali si
possono interpretare ruoli diversi. Indubbiamente, in questo senso il virtuale
rappresenta una pura evasione, né più né meno di altre forme tradizionali del
virtuale, dalla lettura ai fumetti, dal cinema alla televisione.
In questo senso, i Mud rappresentano soltanto un'evoluzione delle convenzionali forme in cui la fiction si è prodotta finora. Essi permettono infatti, non solo di identificarsi con un certo personaggio, o con più d'uno, secondo un meccanismo psicologico ben conosciuto, ma anche di determinarne il comportamento e, quindi, lo sviluppo della storia di cui fa parte. In altri termini, ciò che ne costituisce la novità è la possibilità di interagire, di essere autori oltre che spettatori. Anche se poi le possibili variazioni hanno comunque dei limiti: la situazione di partenza e i personaggi, oltre, ovviamente, alle regole del gioco, sono infatti prestabiliti, ideati dai veri autori del gioco. Inoltre, per quanto intricati e imprevedibili possano apparire le trame e gli sviluppi di queste vicende virtuali, esse rappresentano in ogni caso solo delle semplificazioni della realtà.
Di questo, però, non tutti i giocatori sono consapevoli, anzi: soprattutto
nei più giovani, che non hanno grande esperienza di vita, il rischio è che
queste dimensioni virtuali appaiano più ricche e complesse di quella reale. E
dunque, questo tipo di intrattenimento, con le sue pretese di realismo, può
produrre nelle nuove generazioni una sorta di vizio epistemologico di fondo:
l'idea che la realtà sia qualcosa di facilmente inquadrabile, prevedibile sino
alla noia e della quale è, dunque, di gran lunga più interessante la dimensione
virtuale.
Il rischio, insomma, è che si verifichi in una forma più
esasperata ciò che è avvenuto in parte con la televisione: che la realtà
esperita attraverso lo schermo appaia più interessante che dal vivo. Pensiamo,
per esempio a come il nostro rapporto con la natura possa essere plasmato dai
mass media: difficilmente passeggiando in un bosco noi potremo godere dello
stesso spettacolo offertoci da certi bei documentari, che in pochi minuti
riescono a farci apparire avvincente anche la vita di un altrimenti per noi
insignificante organismo, che so, un fungo, svelandoci gli aspetti più reconditi
della sua effimera esistenza.
La questione non è peregrina: è accaduto a più di un insegnante di sentirsi
chiedere dagli studenti nel corso di qualche uscita all'aperto se fosse
possibile accelerare l'apertura di un fiore per assistervi in diretta, così come
accade di vedere nelle riprese dei documentari. E proprio di recente un
sondaggio del Wwf ha rivelato come l'immagine che gli italiani hanno della
natura sia influenzata da ciò che hanno visto in televisione: la maggioranza era
convinta che il castoro, un roditore nordamericano, fosse una specie originaria
del nostro territorio.
E' dunque evidente che il rischio di falsare la
percezione della realtà non è esclusivo della frequentazione dei Mud né solo
delle esperienze, per così dire, essenzialmente evasive, vale a dire di quel
tipo di fiction che, al di là della quantità di intrecci e personaggi che chiama
in causa, al fondo offre visioni aproblematiche, situazioni non contraddittorie
in cui è facile distinguere fra bene e male, bianco e nero, ecc.
Oltre tutto, non si può ignorare l'importanza che la dimensione ludica ha anche e soprattutto per la specie umana. L'attitudine al gioco che si protrae sin oltre l'infanzia può anzi essere considerata una delle "marce in più" delle specie superiori, Homo Sapiens in testa. Un po' come il sogno, infatti, il gioco rappresenta una sorta di anticipazione di future esperienze come anche un modo per elaborare e risolvere situazioni conflittuali. Non necessariamente, dunque, chi partecipa a un gioco di ruolo si lascia alle spalle la propria esistenza e i propri problemi per perdersi nell'irreale. Per molti, infatti, recitare un ruolo è psicologicamente costruttivo.
L'immaginazione sembra svolgere, oggi più che mai, un ruolo fondamentale
nella vita dell'uomo, non soltanto per quanto riguarda i rapporti on line. I
processi immaginativi assolvono una funzione importantissima, sia sotto
l'aspetto cognitivo, sia anche per quanto riguarda la dimensione sociale.
A
seguito della riduzione dei luoghi di aggregazione, istituzionali e non,
rispetto al passato, quali il circolo, il dopolavoro o più semplicemente il
ritrovo del quartiere, i nostri (spesso unici) interlocutori sono diventati il
televisore e il computer. Ma se il primo, un media freddo secondo la lezione di
McLuhan, non lascia molto spazio all'interazione, la corrispondenza on line è
davvero lo spazio di una nuova tribù, l'anello mancante tra individuale e
collettivo, la materia trasformata in energia che defluisce nell'unità del
villaggio globale.
Ma l'aspetto più interessante del ciberspazio, a mio parere, non è nella possibilità che esso ha di sostituirsi al reale ma nella sua capacità di moltiplicare le occasioni di attualizzarlo. Abbiamo già detto di quanto la posta elettronica possa aiutare a intrecciare dei rapporti interpersonali. E qualsiasi cibernauta sa anche che altri strumenti disponibili sulla rete permettono, in modo più o meno diretto, di ristabilire contatti con amici e conoscenti che si son persi di vista magari da anni. Altri dispositivi, più elaborati, permettono invece a gruppi di persone di discutere tra loro su temi specifici, talvolta anche in diretta.
Sulla rete sono disponibili migliaia di queste occasioni di dibattito, le cosiddette conferenze elettroniche o newsgroup, sugli argomenti più disparati: da questioni di interesse generale a quelle più particolari e specifiche. Ognuno invia il suo messaggio per porre una domanda o per rispondere a quella posta da qualcun altro. Quando un argomento è stato sviscerato in tutti i suoi aspetti, può anche accadere che la discussione si chiuda. Ma per una discussione che si esaurisce ce n'è almeno un'altra che nasce. E poi, visto che i messaggi sono firmati, anche se con pseudonimi, e riportano l'indirizzo e-mail dell'autore è possibile rimanere in contatto con qualcuno anche dopo la chiusura di un newsgroup. E non è raro che poi questi contatti diano luogo a incontri reali, de visu.
In questo senso, il ciberspazio diviene un mezzo per entrare in contatto con persone con le quali si condividono interessi, e offre la possibilità di farlo in modo del tutto svincolato da limiti spaziali o sociali. Nel corso del tempo, inoltre, si sono delineate tra i frequentatori della rete una serie di regole morali volte a preservare quanto più è possibile il rispetto reciproco. Esse costituiscono la cosiddetta netiquette. Per fare un esempio, sono scoraggiati gli attacchi personali o quelli diretti verso intere categorie di persone, come le palesi manifestazioni di razzismo. A garantire il rispetto di questo codice morale sono gli stessi singoli partecipanti alla discussione, segnalando al curatore del sito eventuali reiterate violazioni di una o più norme da parte di qualcuno, che verrà escluso dal gruppo.
Ma, a parte queste limitazioni, opportune a mio parere, nei newsgroup vige la
più assoluta libertà di espressione. E' naturale che non sempre il tono della
discussione sia pacato, soprattutto quando qualcuno ne infrange il galateo. E'
anche possibile che si verifichino manipolazioni o inganni, ma né più né meno
che in qualsiasi altra forma di comunicazione umana. Si tratta, dunque, di un
rischio inevitabile ma non esclusivo dei newsgroup o della rete in generale.
Come osserva Pierre Lévy, dunque, queste comunità virtuali fanno emergere
nuove forme di opinione pubblica, così come nel diciottesimo secolo fecero i
giornali e, in tempi più recenti, la radio e la televisione.
Nota
1 P. Lévy,
Cybercultura, Feltrinelli, Milano, 1999, pag 126.