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Risultati della ricerca: 6
Da:Francesco Paolo Forti (forti@bluewin.ch)
Oggetto:A proposto di reale e virtuale, il parere di Pierre Levy
Questo è l'unico articolo trovato nella sequenza
View: Original Format
Newsgroups:it.scuola
Data:1998/02/09
Salve a tutti,
si discuteva in passato, magari anche in modo troppo polemico, sul
relae e sul virtuale, come se nella cosiddetta "realta' virtuale"
fossero possibili cose che nella realta' quotidiana non lo sono. 
Non ho mai creduto alla invenzione, credo giornalistica, dello spazio
virtuale. Esso esiste da sempre, fin da quando il primo abitante delle
caverne fece le prime pitture rupestri. Da quando noi parliamo,
manipolando simboli formali. Non e' quindi nulla di nuovo e di
rivoluzionario. Caso mai e' nuovo l'ambito di dialogo interattivo
"molti-a-molti" che e' realizzabile su Internet. Noto con piacere che 
quasto articolo si avvicina abbastanza alla mia posizione. 

Distinti saluti, Francesco Forti

Tratto da http://www.repubblica.it/ del 9.2.98
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L'analisi di Pierre Levy, filosofo
           dei media dell'università di Parigi

     La comunicazione in Rete?
    Universale e un po' marxista

          a cura di MEDIAMENTE-RAI EDUCATIONAL
Ci può spiegare che cosa intende per universalità
senza totalità? Sono due istanze diverse?
"L'idea dell'universale senza totalità mi è venuta quando ho
tentato di comprendere quale fosse l'essenza della
cybercultura. A mio parere la cybercultura non è la cultura
dei fanatici della Rete o della gente che passa il suo tempo
a navigare sul Web, è, piuttosto, lo stato della cultura
quando il cyberspazio diventa il mezzo di comunicazione
dominante. Probabilmente, tra qualche anno - ma già fin
d'ora- il cyberspazio diventerà il centro di gravità
nell'ecologia della comunicazione. Parlo di 'universale' in
primo luogo perché una delle idee-forza della cybercultura
è l'interconnessione tra tutti i computer, tra le persone che
stanno dietro i computer.
Coloro che usano i computer in Rete possono comunicare
tra loro in modo originale, perché in Internet non c'è
un'emittente con un gran numero di utenti passivi e dispersi,
come sono in questo momento i telespettatori, isolati gli uni
dagli altri; d'altra parte, non è nemmeno come col telefono,
in cui la comunicazione è veramente reciproca e interattiva,
ma avviene da individuo a individuo, singolarmente, in
dialoghi che non sboccano nella formazione di una
comunità, nella formazione di un collettivo. Il genere di
comunicazione che si stabilisce nella cybercultura è al
tempo stesso reciproco, interattivo e comunitario. Questa
comunicazione, dunque, è universale perché tende
all'universalità, per cui chiunque può virtualmente diventare
emittente, non in direzione di un singolo individuo, ma di un
insieme di individui.
L'estensione dell'interconnessione manifesta il fatto che
l'umanità sia una; questo intendo per 'universale', se si
prende l'idea di universalità nel senso illuministico di porsi
come compito l'unità del genere umano e affermare principi
universali come i diritti dell'uomo. Anche la scienza è
qualcosa di universale; certe religioni pretendono di essere
universali. Ma, mentre gli antichi universalismi si costruivano
sul fatto che ci fosse qualcosa di valido per l'intera umanità,
oggi, l'elemento universale che si costruisce con la
cybercultura, non è la stessa cosa per tutti e dappertutto.
Tutti gli esseri umani, virtualmente, possono entrare in
contatto reciproco e prendere coscienza collettivamente
della loro esistenza. Perché allora parlo di universale senza
totalità? Perché quanto più si estende l'interconnessione,
tante più cose diverse ed eterogenee sono messe in
circolazione sulla Rete, e non c'è un'istanza che regoli o
controlli dal centro, che sia in grado di avere un controllo
globale. Parlo, dunque, di universalità nel senso che
l'umanità comincia a prendere coscienza di sé, ma questa
presa di coscienza non ha un senso unico e non passa per
un punto centrale e non sta sotto un'unica legge, come nella
scienza, in cui, per esempio, la gravitazione universale è la
stessa dappertutto. Nella cybercultura ciò che è
interessante è la messa in contatto di tutte le differenze e di
tutte le eterogeneità. Perciò parlo di universalità senza
totalità".

Che cosa intende per virtuale? 
"Credo che sia importante sottolineare, in primo luogo, che
virtuale non è il contrario di reale: un oggetto virtuale non è
qualcosa di inesistente; ciò che è virtuale esiste senza esser
là, esiste senza avere, perciò, delle coordinate
spazio-temporali precise. Si può fare un esempio molto
semplice: la parola 'albero' o la parola 'virtuale', non si può
dire dove siano. Sono nella lingua, ma dov'è la lingua? E' in
uno spazio virtuale. Viceversa, una parola si attualizza ogni
volta che qualcuno la pronuncia, ogni volta che qualcuno la
scrive, si attualizza ogni volta con un senso diverso in un
contesto diverso. In questo senso, il virtuale è qualcosa che
esiste potenzialmente, con possibilità di attualizzazione
inventiva. A mio avviso il virtuale è assolutamente
costitutivo dell'umano, poiché l'essere umano non vive
semplicemente; vive anche in un mondo virtuale: il mondo
del linguaggio, il mondo dell'organizzazione sociale
complessa".

Nel Suo libro, lei parla di una idea di virtualizzazione
attraverso la quale la storia umana si è sviluppata.
"A mio avviso, i tre elementi che definiscono l'umanità in
rapporto agli animali, sono il linguaggio, la tecnica e
l'organizzazione sociale complessa; questi tre elementi
appaiono simultaneamente e sono veramente costitutivi
dell'umano. E ogni volta, se si analizzano precisamente le
cose, ci si rende conto che si tratta di virtualizzazione. Per
esempio, grazie al linguaggio, si sfugge al qui e all'ora, si
sfugge alla attualità, perché si può raccontare il passato,
prevedere il futuro, inventare delle narrazioni; mediante la
tecnica si sfugge anche all'hic et nunc dell'azione fisica. Se
invento e costruisco un utensile, questo utensile rappresenta
una riserva virtuale di azione, che non è più legata al corpo
proprio di una persona, ma può circolare, è una virtualità
d'azione; e, d'altra parte, si può considerare il 'contratto',
per esempio, che è in qualche modo l'elemento di base
della relazione sociale complessa e che non esiste tra gli
animali, come la virtualizzazione di un rapporto di forza, la
definizione di un rapporto tra esseri umani che sfugge all'hic
et nunc ed entra in circolazione. 
Tutta la storia dell'economia - uno degli aspetti per i quali
gli esseri umani entrano in rapporti reciproci -, è una storia
della virtualizzazione del rapporto con le cose. Se si passa
dal baratto allo scambio monetario e alla lettera di cambio
o, infine, agli strumenti finanziari che conosciamo oggi, si
vede chiaramente come nella storia dell'economia ci sia una
virtualizzazione progressiva degli scambi. Ciò che stiamo
vivendo oggi con lo sviluppo dell'informatica e del
cyberspazio è un prolungamento del processo di
virualizzazione proprio dell'uomo. Vediamo rappresentati,
nel cyberspazio, tutti gli aspetti dell'umanità e soprattutto la
dimensione del linguaggio, perché c'è una grande quantità
di nuovi linguaggi che si inventano i base ai nuovi rapporti:
l'ipertesto, le realtà virtuali, la multimedialità interattiva, le
simulazioni sono tutte forme di linguaggio nuove. Tutto un
nuovo universo tecnico si sviluppa con il digitale e,
parallelamente, si inventano nuove forme di relazione
economiche o di altro genere tra le persone con la
mediazione del cyberspazio.
Una comunità virtuale è una comunità che si organizza
intorno a centri di interesse, intorno, cioè, a qualcosa di
virtuale; non si sta insieme perché si abita nello stesso luogo
o si appartiene alla stessa istituzione, ma si interagisce gli
uni con gli altri, si hanno le stesse idee o le stesse
competenze o gli stessi centri di interesse perché si
condividono dei progetti. Preciso che il fatto di partecipare
a comunità virtuali, cioè a forme di discussione che io trovo
affini a quelle comunità di scienziati del XVII e del XVIII
secolo, che entravano in corrispondenza sui temi delle loro
ricerche - in fondo, nel cyberspazio si scambiano lettere, si
intrattengono relazioni epistolari - non esclude affatto la
possibilità di incontri effettivi concreti.
Si può organizzare un colloquio su Internet o preparare una
riunione reale con la posta elettronica e poi incontrarsi
effettivamente, mentre, d'altro lato, si può dire che una
comunità virtuale è una attualizzazione di comunità che
prima restavano astratte. Se dico: 'Tutte le persone che
commentano l'opera di Heidegger', definisco un insieme
astratto; se si apre su Internet un forum di discussione
concernente l'opera di Heidegger, tutti quelli che si
appassionano a questo tema possono entrare
effettivamente in contatto gli uni con gli altri. La comunità
virtuale non è una comunità che non esiste o che non ha
corpo. Al contrario, è una comunità che prende corpo con
l'effettiva interazione".

A questo proposito anche il ruolo della scuola è molto
importante per trovare lavoro o aiutare le persone
che restano escluse dall'uso delle nuove tecnologie.
Lei pensa che la scuola, l'educazione possa avere un
ruolo in questo settore?
"Sì, forse. Dico una cosa poco originale, ma credo che,
contrariamente a quello che si pensa, lo sviluppo del
cyberspazio non rappresenta affatto la fine della lettura e
della scrittura, ma, al contrario, mostra che scrittura e
lettura sono sempre più importanti. Che cosa si fa quando
si naviga su Internet o quando si usa la posta elettronica? Si
legge e si scrive, molto più di quanto non si guardino le
immagini. La scuola primaria, la scuola elementare nel suo
ruolo d'insegnamento della lettura e della scrittura è
assolutamente fondamentale perché, in fondo, ogni
esclusione concernente il rapporto con il sapere comincia
là, comincia quando non si potenziano gli strumenti di base
della comunicazione scritta; non si tratta soltanto di sapere
leggere e scrivere, ma anche di sapersi servire di un
dizionario, sapersi servire di un indice, sapersi orientare in
un centro di documentazione. Le operazioni cognitive che
ho enunciato possono essere perfettamente usate anche per
orientarsi nel cyberspazio o nel World Wide Web e nelle
nuove condizioni ambientali informatizzate".

Lei ha detto che con Internet si è realizzata quasi una
vera rivoluzione, che si stanno realizzando le teorie di
Marx. 
"Marx preconizzava l'appropriazione dei mezzi di
produzione da parte dei produttori. Questo non vuol dire
che oggi tutti i mezzi di produzione si possano ridurre al
computer e alla Rete, ma non di meno molti mezzi di
produzione vi si collegano. Che cos'è il lavoro oggi? E'
navigare nell'informazione, produrre informazione, simulare,
comunicare, cooperare, scambiare conoscenza. D'ora in
poi tutto questo può essere fatto semplicemente con un Pc
e la connessione in rete. In un certo senso c'è una
riappropriazione individuale delle principali multiproduzioni
della nostra epoca. Il fatto che ci sia questa possibilità non
vuol dire che la rivoluzione sia realizzata, direi, anzi, al
contrario, che anche quando il produttore possiede questi
mezzi di produzione, non si verifica nessuna trasformazione
radicale della società". 

E' necessaria una preparazione culturale per iniziare
a selezionare l'informazione; dunque, non si può dire
che si è arrivati ad una vera uguaglianza.
"Innanzi tutto, vorrei sottolineare che c'è più uguaglianza di
prima, nella misura in cui è possibile a un numero sempre
crescente di persone di emettere messaggi per un largo
pubblico. Le persone che pubblicano libri sono un numero
limitato; un numero estremamente limitato di persone può
esprimersi alla televisione, mentre nel cyberspazio non c'è
nessuna limitazione. Ma non bisogna esagerare: ci sono
meno limitazioni a priori per chi voglia far circolare un testo
o un film o della musica; non c'è più la mediazione
obbligatoria dell'editore, del direttore della casa
discografica, del produttore televisivo; si assiste, dunque,
ad una soppressione, ma non ad una soppressione
completa, piuttosto, ad un declino del ruolo degli
intermediari.
Dalla parte dell'emissione di informazioni, è chiaro ed
evidente che ci sia più libertà; dalla parte di quelli che
cercano l'informazione il problema più importante è quello
di filtrarla, selezionarla, ordinarla per farne la sintesi. E' un
lavoro che spetta a ciascuno, agli individui e ai gruppi, e
bisogna ricordare che gli individui non sono
necessariamente isolati di fronte al diluvio di informazioni,
ma possono associarsi e svolgere collettivamente il lavoro
di filtraggio e di selezione. Tra le funzioni delle comunità
virtuali e dell'intelligenza collettiva c'è anche quello di
operare questo filtraggio, questa selezione. Non si può più
immaginare che ci siano istanze incaricate di fare la
selezione per gli altri. Anche in questo senso dico che c'è
più libertà, oggi. Ciò richiede, evidentemente, delle capacità
che devono essere sviluppate con un'educazione di base,
richiede spirito critico, richiede capacità di selezionare e di
elaborare i problemi".

Quali sono le strade che aprono allo sviluppo della
cybercultura?
"Per semplificare, io direi che ci sono due vie che si aprono
allo sviluppo della cybercultura. Da un lato si può andare
verso l'intelligenza collettiva, verso una condizione in cui
tutti possono partecipare agli scambi di conoscenza o a
quella interazione planetaria di cui parlavo poco fa; d'altro
lato si può riprodurre il funzionamento dei media tradizionali
su una scala più grande, con un po' più di interattività, ma
restando nello schema classico: emittenti da un lato e
ricettori dall'altro. Sta a ciascuno scegliere e assumersi le
sue responsabilità. Bisogna sapere che ogni volta che si
opta per un particolare comportamento si spinge
l'evoluzione culturale in un senso o nell'altro".

Lei ha parlato di memoria collettiva. Che cosa può
aggiungere su questo tema?
"La memoria è un fatto socio-tecnico; noi abbiamo una
memoria biologica che ha dei limiti ma, con l'invenzione
della scrittura, anzi, prima con l'invenzione della tecnica, c'è
stata una specie di esteriorizzazione della memoria, ancora
più grande della memoria umana, e al tempo stesso una
socializzazione della memoria, perché una cosa scritta non
esiste più soltanto nei nostri riflessi, nel nostro saper fare
corporeo, è qualcosa che può essere consultato e riusato
da altri. Con lo sviluppo del cyberspazio e di tutte le
memorie dinamiche su supporto informatico c'è una
esteriorizzazione ancora più grande della memoria e, al
tempo stesso, una più grande collettivizzazione, poiché
ognuno può intervenire quasi in tempo reale su queste
memorie dinamiche e imprimervi delle trasformazioni. E,
inoltre, c'è una maggiore facilità di accesso".

Con le nuove tecnologie non si corre il rischio della
deterritorializzazione, nel senso della scomparsa dei
luoghi fisici per la realizzazione di una relazione?
Oggi, con la virtualizzazione dei rapporti, a che rischi
si va incontro?
"Questa storia dei luoghi fisici è molto importante, molto
interessante. Si immagina comunemente che ci sia un solo
spazio reale, lo spazio fisico e geografico; questo è falso,
perché esiste un gran numero di spazi: c'è lo spazio fisico e
geografico, c'è lo spazio affettivo. Se non le dispiace, mia
moglie mi è più vicina, nello spazio affettivo, anche se in
questo momento è a Parigi, di lei che è a due metri da me.
Lo spazio affettivo non coincide con lo spazio fisico e lo
spazio semantico, a sua volta, può essere differente dallo
spazio affettivo e dallo spazio territoriale. Esiste un gran
numero di spazi sovrapposti gli uni agli altri; se non ho
alcuna relazione economica con il mio dirimpettaio, perché
non gli vendo e non gli compro niente, ma faccio invece
commercio internazionale con uno che si trova a Hong
Kong, nello spazio economico sono più vicino a Hong
Kong che al mio dirimpettaio.
Ora, quando tutti erano contadini e abitavano in piccoli
alloggi, lo spazio fisico, geografico, territoriale era identico
allo spazio affettivo: tutti quelli che si potevano conoscere,
che si potevano amare, appartenevano al villaggio. Lo
stesso si dica dello spazio economico, perché non si
potevano avere relazioni economiche che con la gente del
proprio villaggio. Dunque, un tempo c'era una
sovrapposizione di spazi, mentre tutta l'evoluzione sociale,
da due o tre secoli a questa parte, va verso una
dissociazione degli spazi gli uni rispetto agli altri. Quello che
avverrà con lo sviluppo della cybercultura è un
prolungamento di questo processo di dissociazione. Ma
bisogna comprendere che, in effetti, la cybercultura realizza
un avvicinamento delle persone: avvicina coloro che si
muovono nella stessa sfera di interessi; nel cyberspazio,
queste persone possono contattarsi realmente. Non c'è
perdita della realtà o perdita del territorio o perdita del
corpo! La perdita, in un certo senso, è nella dissociazione
degli spazi gli uni in rapporto agli altri. La verità è che lo
spazio fisico non corrisponde più allo spazio economico,
allo spazio semantico, allo spazio relazionale".

(9 febbraio 1998)



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